Vittoriale degli Italiani: tra storia e curiosità
Un favoloso complesso monumentale sorge sulla sponda occidentale (lato Lombardia) del Lago di Garda. Nei pressi di Gardone Riviera è possibile visitare quella che fu l’ultima dimora di Gabriele d’Annunzio, decorata e arredata secondo il suo eccentrico stile: il Vittoriale degli Italiani.

Perchè si chiama Vittoriale degli Italiani
Il Vittoriale deve il suo nome alla vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale, a celebrazione delle imprese dei soldati Italiani e di Gabriele d’Annunzio che vi è anche sepolto.
D’Annunzio commissionò l’opera all’architetto Giancarlo Maroni, anch’esso tumulato nel mausoleo, vicino a lui e ad altri eroi di guerra, cari al poeta vate.
Curiosità: insieme a loro, lassù in cima, ci sono anche delle simpatiche statue a dimensione reale di bellissimi cani.

Le tante curiosità al Vittoriale
Oggi è possibile passeggiare in lungo e in largo per i vastissimi giardini con veduta panoramica sul Garda, vincitori in passato del premio Parco più bello d’Italia. È possibile anche, attraverso un tour guidato, visitare la Prioria, ovvero il complesso di stanze in cui visse per 17 anni.
Lo stesso nome, “Prioria”, evoca la condizione in cui egli si trovava, una sorta di clausura, per via dei rapporti politici, fu la sua “gabbia dorata”.
È un po’ buia. Era fotofobico: aveva perso un occhio in seguito ad un incidente durante una missione militare in idrovolante. Una scelta dunque conseguente, che tra l’altro, conferisce all’abitato anche una certa atmosfera.
Ci sono migliaia di oggetti, di vario tipo. Alcuni precorrevano i tempi, come un telefono ed un frigorifero; altri sono a dir poco sbalorditivi.
Ad esempio nella sezione “D’Annunzio segreto”, inaugurata nel 2010, è esposto uno spillo sulla cui capocchia è stato realizzato un microritratto, visibile grazie ad una lente ingrandente su cui poggiare lo sguardo.
All’interno della Prioria
Allo studio del poeta, si accede salendo degli scalini posti sotto un architrave; è volutamente molto basso, così da indurre chi entra ad inchinarsi forzosamente. È un espediente che abbiamo visto, o meglio, schivato con le teste, anche al palazzo dell’inquisitore (sì proprio della Santa Inquisizione!) a Malta, nella stanza del tribunale.
Tartaruga e ospiti
Una grande tartaruga in bronzo è posta a capotavola nella stanza della Cheli.
Il guscio è realmente appartenuto ad una tartaruga che viveva nei giardini del Vittoriale. Morì in seguito ad una indigestione di piante: non male come monito a non mangiare troppo, rivolto ai commensali! 😀
Considerando che si tratta della sala da pranzo per gli ospiti, fa specie come in questa enorme dimora, non vi siano stanze di alloggio per i visitatori. Il messaggio era dunque chiaro: siete invitati, si pranza e si chiacchera insieme, ma poi… ognuno a casa propria.
A proposito di ospiti, un personaggio così in vista ne riceveva di continuo: sia di ben accetti, ma anche di sgraditi. D’Annunzio aveva due apposite sale, dall’atmosfera completamente diversa, a seconda di chi riceveva.
In una di queste, detta stanza del mascheraio, un’iscrizione sul muro ammonisce:
“Al visitatore.
Teco porti lo specchio di Narciso?
Questo è piombato vetro o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
ma pensa che sei vetro contro acciaio”.
Questi ironici versi, sono ad indirizzo di quei visitatori che, giunti alla Prioria, tentano di aggiustarsi la “maschera”. Sembra siano stati pensati in particolar modo per Benito Mussolini, che, si racconta, fu costretto ad aspettare proprio dinnanzi ad essi.
A quanto pare, aldilà delle apparenze formali, ciò che il Duce pensava del Vate non pareva altrettanto lusinghiero, dato che di lui disse: «D’Annunzio è come un dente guasto: o lo si estirpa o lo si copre d’oro». Un riferimento che possiamo intendere nell’ottica dei finanziamenti richiesti al governo di allora per l’ampliamento del complesso.
Caduti e cadenti
Su una parete della stanza delle reliquie, fra cimeli di varie religioni, inaspettatamente si nota un volante deformato. Apparteneva ad un amico deceduto in motoscafo nel tentativo di superare un record di velocità.
Se ad un primo sguardo, in mezzo ad icone sacre e a idoli di Buddha può sembrar fuori posto, è in realtà una eloquente rappresentazione proprio di ciò che lui definiva “religione del rischio”.
Fu invece da una finestra della stanza della musica, il 13 agosto 1922, che il poliedrico poeta si rese protagonista di una caduta rimasta piuttosto misteriosa, da cui riportò una grave ferita alla testa. Non ne parlò mai, ma la versione più accreditata, imputerebbe l’incidente ad una… “acrobazia amorosa”.

Ci sono tante curiosità da soddisfare al Vittoriale: chi di noi non ha un aereo appeso al soffitto ed una nave in giardino? Magari da cui, in ricorrenze particolari o all’arrivo di ospiti illustri, sparare pure cannonate a salve…
Ebbene, l’aereo visibile nell’auditorium, è il biposto che usò per sorvolare Vienna nel 1918 e lanciare volantini; mentre la prua della nave incastonata nella collina è l’ariete torpediniere Puglia, donatogli dalla Regia Marina Militare nel 1923.

La beffa di Buccari a bordo del MAS 96
MEMENTO AUDERE SEMPER è il noto motto dannunziano che invita ad osare.
Nella sua vita, il Vate, di slogan e neologismi ne ha prodotti alquanti, ad esempio per il panettone Motta e per i biscotti Saiwa.
Ma in particolare quell’ardire tanto promosso nel latino “ricorda di osare sempre” è stato da lui anche ampiamente messo in pratica, sia nel coraggio dimostrato in guerra, che nella provocatorietà di certe azioni compiute nel corso della sua vita.
Una fra le più clamorose, fu l’incursione nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 organizzata con Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, nota come la beffa di Buccari.
Scelti tre MAS (Motoscafi Armati Siluranti) il 94, il 95 ed il 96, con a bordo dieci uomini ciascuno, salparono da Venezia rimorchiati da dei cacciatorpedinieri.
Raggiunsero la costa istriana e, dopo aver sparato tre siluri, avvicinarono la baia di Buccari.
La difesa navale austriaca non ebbe tempo di reagire, allorquando quel burlone di D’Annunzio dal suo motoscafo da guerra lanciò in acqua tre bottiglie agghindate da nastri tricolore, contenenti un messaggio di scherno. Riuscirono a dileguarsi e a ritornare illesi al porto di Ancona, accolti dalle folle.
Quella che potrebbe avere le parvenze di una sfrontata goliardata, nel contesto di allora rappresentava in realtà un’impresa rischiosissima, e gli valse una medaglia d’argento al valor militare.

In esposizione in un edificio dedicato, si può osservare da vicino il MAS 96 su cui stava D’Annunzio.
Lo Schifamondo e la morte di D’Annunzio
Lo Schifamondo non lo abitò mai. Si tratta di un’ala nuova del Vittoriale che però il poeta non vide mai completata, poiché i lavori si protrassero troppo a lungo. Oggi le stanze dello Schifamondo ospitano il museo “D’Annunzio eroe” con alcune collezioni e cimeli della prima guerra mondiale.
Morì il 1 marzo 1938 per una emoraggia cerebrale, mentre era seduto alla sua scrivania.
In seguito alla sua dipartita, l’amico architetto Maroni sostenne di essere ancora in contatto con lui attraverso sedute spiritiche.
Oggi il Vittoriale è curato dalla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, rappresentando un lascito più unico che raro per le generazioni successive. Può forse mancare un motto dannunziano a tal riguardo?
IO HO QUEL CHE HO DONATO
