Il mito di Scilla, Glauco e Cariddi
Scilla, non è il diminutivo di Priscilla, ma il nome della figlia niente meno che della dea Ceto e del dio Forco (suona un po’ strano, ma è così).
Era un’incantevole ninfa dagli occhi azzurri che viveva in Calabria, e che era solita fare il bagno nelle acque cristalline della zona.

Glauco era invece un giovane pescatore; abile nel pescare, e al tempo stesso rispettoso delle creature del mondo marino. Un giorno, notando che dei pesci lasciati sull’erba ritornavano magicamente in vita, decise di fumarsela, pardon… di mangiarla.
Per effetto di quell’erba divenne immortale, ma i suoi piedi si tramutarono in pinne e le sue gambe in coda di pesce, costringendolo quindi ad una vita perennemente in acqua.
(Una delle statue più misteriose al parco di Bomarzo in provincia di Viterbo rappresenterebbe proprio Glauco).
Il traumatico colpo di fulmine
Un bel giorno, Glauco, fortemente attratto dalla bellissima sguazzante Scilla, decise di avvicinarla.
Ma quando l’avvenente bagnante vide l’ex pescatore, metà uomo e metà pesce, rifiutò piuttosto eloquentemente le sue avances, fuggendo terrorizzata in cima ad un monte prospiciente il mare.
A nulla servirono i richiami del povero Glauco; a quanto pare, dei tanti pretendenti respinti, era inesorabilmente quello ad avere meno chanches di tutti.
I rimedi di una volta
Col cuore spezzato Glauco si rivolse alla maga Circe. Non è che questa avesse chissà quale reputazione, considerando che viveva attorniata di animaletti festanti, tutti ex uomini da lei trasformati, ai quali poi aggiunse i compagni di Ulisse in ricognizione, che tramutò in maiali.
Il piccolo problema (non da poco) era che la maga Circe si era innamorata di Glauco, e gelosa della giovane ed affascinante Scilla, versò una pozione nelle acque dove abitualmente andava a fare il bagno.
Fu così che la bellissima Scilla si trasformò in un mostro orripilante.

Scilla e Cariddi
Ella stessa, vedendosi riflessa nelle acque, si rese conto della sua mostruosità, ed andò a vivere in uno scoglio, a poca distanza dalla grotta di Cariddi.
Cariddi era una ex “rapitrice” di buoi mangiona, che aveva colpevolmente sbafato quelli di Ercole, e che a sua volta era stata tramutata in mostro. Sostanzialmente era un tutt’uno col mare, poteva creare gorghi enormi, risucchiando e rigettando l’acqua.
Dando alla leggenda una collocazione, Scilla e Cariddi si situerebbero presso i due lati dello stretto di Messina, nei punti in cui Sicilia e Calabria sono più vicini: all’incirca in prossimità del pilone di Capo Peloro (Messina), e all’omonimo paesino di Scilla (Reggio Calabria).
Per le navi in transito la situazione era problematica; noi oggi diremmo “trovarsi tra due fuochi”, per loro, transitare in quelle acque significava, metaforicamente, trovarsi tra due mostri.
Entrambi i mostri attaccavano chiunque navigasse nelle vicinanze. Nell’Odissea di Omero, si narra come Ulisse, temendo i gorghi di Cariddi, preferì transitare vicino a Scilla, riuscendo a non perdere la nave, ma perdendo così sei dei suoi rematori migliori.
Di mitologico, nel borgo di Scilla, proprio in corrispondenza di una statua che la rappresenta, c’è una terrazza panoramica fantastica, specialmente al tramonto. In alta stagione alle frequentatissime spiagge noi abbiamo preferito passeggiate nel centro storico e a Chianalea, il nucleo originario del paese.
