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Il parco dei mostri di Bomarzo

Il parco dei mostri di Bomarzo è un luogo onirico, fuori dal tempo.
Ogni rappresentazione è una suggestione, che spazia dal poetico al grottesco.

Il Sacro Bosco

Si tratta di un complesso monumentale di fontane e sculture che hanno dimensioni piuttosto varie, con soggetti vari, in stili vari, e dalle interpretazioni… infinite… !
Ricavati da massi erratici di origine piroclastica, scagliati centinaia di migliaia di anni prima da un vulcano, i bizzarri artefatti del parco dei mostri risalgono al XVI secolo.

Nel 1552, il signore di Bomarzo, Pierfrancesco Orsini (detto Vicino), volle realizzare un giardino delle meraviglie. Conosciuto come Sacro Bosco, lo commissionò a Pirro Ligorio, lo stesso di Villa d’Este a Tivoli, e colui che completò San Pietro dopo la morte di Michelangelo.
Orsini dedicò questo labirinto di sculture alla moglie scomparsa, Giulia Farnese.
Il Sacro Bosco era anticamente collegato a Palazzo Orsini di Bomarzo, un paesino in provincia di Viterbo, arroccato su una rupe dalla quale sovrasta parte dell’antica Etruria (oggi Tuscia).

Dopo di lui, nessuno se ne prese cura; rimase abbandonato per circa 400 anni finendo inghiottito dai muschi e dall’oblio.
La famiglia Bettini, che se ne era appassionata, nel 1954 lo acquistò, dedicandosi al restauro sino agli anni ’70.

giardini nel Lazio

I significati del parco dei mostri di Bomarzo

Il parco dei mostri di Bomarzo sembra quasi pensato per perdersi.

Pregevole l’estetica delle opere, espressione di un manierismo con tanto di contrasti e contraddizioni. Dopo essersi lasciati rapire dalla loro suggestione, ne disorienta l’alternanza, caratterizzata da una moltitudine di tradizioni: pagana, magico-esoterica, alchimistica ed ermetica, condite in qualche circostanza da tinte esotiche d’oriente.
Mettendo insieme certi elementi, si intuisce come un luogo del genere vada ben oltre il capriccio di un nobile stravagante.
Vicino Orsini infatti, ad un certo punto della propria vita, abbandonò barracks e burattini, ossia la vita militare e politica, per dedicarsi a studi di filosofia occulta e alle discipline alchemiche.

Il Sacro Bosco rappresenterebbe una sorta di itinerario iniziatico, attraverso le metafore incarnate nelle mostruose figure. Un viaggio, i cui passaggi sono scanditi dall’intelligenza del visitatore curioso, di chi “cerca” qualcosa.
(Eccetto alcuni casi, l’attuale disposizione delle opere non è quella originaria, è stata modificata dai Bettini).
Si accede ad un regno di surrealtà, costellato di allegorie. Una metafora della discesa nell’oltretomba in varie tappe, rappresentate dalle prove che l’anima deve completare per elevarsi.
Numerosi i riferimenti all’aldilà: se per ognuno vi bevete un sorso di birra, finite ubriachi!

Nell’alchimia l’uso di un linguaggio in codice comprensibile solo agli esperti è chiamato “ermetismo”.
Gli alchimisti nascondevano le loro conoscenze dietro ai simboli; l’apprendista deve sforzarsi di acquisire le conoscenze parzialmente fornite, attraverso quanto scolpito nella pietra.
Noi non abbiamo certo la pretesa di esplicare ogni preciso messaggio, celato in queste opere. A seguire, oltre alle interpretazioni di carattere generale, ci sarà qualche decifrazione in chiave alchemica, ma anche alcune considerazioni soggettive, per così dire, in chiave lemuresca, secondo quanto da noi interiorizzato.

Nel corso di questa passeggiata un po’ letteraria ed un po’ alchemica, tra le tendine boschive si affacciano le stravaganti statue; alcune sono letteralmente sepolte nel verde, e mostrano gli evidenti segni del tempo.
Entrare in contatto con loro porta ad attivare l’immaginazione, ispirando un proprio personale viaggio, noi vi invitiamo nel nostro.

Le sfingi

Due enigmatiche sfingi danno il benvenuto in entrata al parco dei mostri, dopo aver varcato un arco in pietra.
Sotto quella di destra c’è scritto: «Tu ch’entri qua pon mente parte a parte, e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte».
Subito ti mette in una condizione di riflessione, su cosa ci sia veramente dietro alle rappresentazioni che osserverai.
All’epoca, l’arte era la cosiddetta “arte alchemica”, l’ermetismo.
È indubbio vi siano messaggi nascosti; tuttavia un luogo simile può essere goduto con approcci differenti. Se anche non se ne comprendono i criptici significati, né tantomeno gli scopi, può essere bello accantonare conoscenze pregresse, lasciando che siano i soggetti a parlarci: ognuno coglierà ciò che il proprio intimo gli suggerirà.

Sotto la sfinge di sinistra: “Chi con ciglia inarcate et labbra strette, non va per questo loco, manco ammira le famose del mondo moli sette“, cioè le famose sette meraviglie del mondo.
Labbra serrate per mantenere i segreti?
Prepariamoci all’esplorazione: il Sacro Bosco non doveva solo piacere, ma stupire!

Glauco (o Proteo)

In alcune occasioni, gli elementi che compongono il rebus e l’allegoria sono impilati uno sull’altro.
È il caso, ad esempio, di un faccione a bocca aperta, con sopra un globo (recante l’emblema araldico degli Orsini), che è a sua volta sormontato da una torretta; verosimilmente il castello di Bomarzo, a risaltare la potenza del casato.

Il bizzarro personaggio è Glauco, un pescatore tramutato in Dio marino dopo aver mangiato un’erba magica. Al pari dell’acqua, da cui proviene, egli è un mutaforma, simbolo di cambiamento.

Parco di Bomarzo: statua del glauco

La gigantomachia (Ercole e Caco)

Le statue più grandi del parco sono di due giganti che combattono.
Si ammira Ercole intento a sconfiggere Caco, figlio del dio Vulcano, nel corso della decima fatica.
Le 12 Fatiche di Ercole sono a loro volta considerate una sorta di cammino spirituale; un percorso di espiazione, in cui le ultime tre si pongono come una metafora della morte.

La traduzione della scritta che accompagna i due omoni, più o meno significa: «Se Rodi si vantò del suo Colosso, Anche il mio bosco si gloria di questo, e non potendo di più, faccio quel che posso».

Parco dei mostri di Bomarzo: la statua di Ercole e Caco

Alla gigantomachia, segue una misteriosa rappresentazione: una grossa tartaruga sorregge sul possente guscio la statua di una Nike, personificazione della vittoria alata, di fronte ad una balena che emerge a bocca spalancatissima, o forse sarebbe più il caso di dire, un’orca!
Se l’orca dai denti aguzzi raffigura il pericolo, la tartaruga possiede una miriade di allegorie: la prudenza, la pazienza, la stabilità, la longevità, ma anche l’attaccamento alla terra.
In una visione esoterica c’è chi sostiene rappresenti l’alchimista stesso.
Nel suo complesso si tratta dell’unione tra terra e cielo, dove la donna alata è all’apice della trasformazione; ce la si può anche figurare come l’anima che si eleva.

Ci piace il contrasto tra la tartaruga notoriamente lenta negli spostamenti, e la donna alata con drappi della veste mossi dall’aria come se fosse in velocità! 😀

Statue del Sacro Bosco

La panca etrusca

La panca etrusca, tramite la scritta scolorita nella sua nicchia, sembra quasi parlarci:

Voi che pel mondo gite, errando vaghi di veder maraviglie alte et stupende, venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orchi et draghi

“Sì!”, ci verrebbe da risponderle.
In giro per il mondo ne abbiamo viste di ogni, ed ora siamo giunti appositamente qui ad osservare mostri, orchi e compagnia bella!
Il senso dell’epigrafe viene diffusamente riadattato in un più moderno: “Voi che per il mondo andate errando alla ricerca di meraviglie alte e stupende, venite qui dove tutto vi parla d’amore e d’arte”.

Mostruose meraviglie

La varietà del parco è sorprendente, nella sua eterogeneità vi si trova:

  • Una Venere su ali di drago a conchiglia, che ricorda il Botticelli.
  • La fontana di Pegaso, cavallo alato, in attesa dell’ok da parte della torre di controllo prima di spiccare il volo, ed andare ad annunciare la vittoria agli Dei.
  • Una ninfa dormiente con un piccolo cagnolino a vegliarla; una bella addormentata nel bosco, sui generis. Le ninfe, in mitologia, erano spiriti benevoli della natura, il loro culto si svolgeva all’aperto o in piccoli santuari detti ninfei; lungo il percorso del parco dei mostri c’è anche un ninfeo.
  • Una parte di teatro all’aperto, l’esedra. In antichità il teatro era religioso: avvicinava l’uomo alla divinità mediante l’inscenamento del sacro.
  • L’elefante di Annibale, sormontato da una torre, intento ad afferrare con la proboscide un legionario romano. In certe culture asiatiche (e non solo), l’elefante è simbolo di discernimento e longevità. È una delle nostre sculture preferite al parco di Bomarzo.
Parco dei mostri di Bomarzo
  • Nettuno, il Dio dei mari, accanto ad un delfino. Il vispo mammifero marino era considerato di buon auspicio dagli etruschi, un animale sacro che traghettava sul proprio dorso le anime dei defunti all’aldilà.
  • Iside, divinità egizia che, secondo tradizione, si credeva anch’essa aiutasse i morti a passare nell’aldilà. Era riuscita a far rivivere il marito Osiride.
  • Un drago alato, più precisamente una Viverna, che combatte contro un cane, un leone e un lupo. Analogia con il primo canto dell’Inferno della Divina Commedia in cui la lupa ed il leone sbarrano il passo a Dante.
Parco dei mostri di Bomarzo in provincia di Viterbo
  • La Dea pagana della fertilità e del raccolto Cerere (conosciuta anche come Demetra), che porta una cesta di spighe in testa.
  • Proserpina (conosciuta anche come Persefone), figlia di Cerere e regina dell’Ade, con braccia aperte.
  • Il Cerbero, cane a tre teste a guardia dell’oltretomba che proibiva l’ingresso ai vivi e l’uscita ai morti. Tre come la triade passato, presente e futuro. Nella dodicesima ed ultima fatica, Ercole, deve domare il Cerbero senza servirsi delle armi; riuscendo a portarlo vivo sulla terra, dimostra come le azioni eroiche vincano il tempo, e rimangano nella memoria.

La casa pendente

Ubriacante, sembra sbagliata, ma è intenzionalmente storta. Il cambio di piano di riferimento mira a indurre disorientamento.
Dentro (ci si può entrare) le inclinazioni sono irregolari e diverse fra loro; il baricentro è tutto spostato, ci si sente come in un mare in burrasca.
Vertigini! I riferimenti che hai intorno sono contrastanti, non sono veritieri; solamente guardando all’esterno attraverso le finestre se ne hanno di affidabili.
Non trovi equilibrio, come analogamente non ne trovi in connessione fra le rappresentazioni del parco.
Un apparente disordine che è però frutto di uno schema voluto.

L’iscrizione in latino su una facciata “Animus quiescendo fit prudentior ergo” significa “L’animo, tacendo, diviene più assennato”, è una dedica per la visita dell’amico degli Orsini, il cardinale Cristoforo Madruzzo.

La casa pendente del parco dei mostri di Bomarzo

L’orco

Occhi sbarrati, bocca spalancata, ecco il simbolo del parco dei mostri di Bomarzo: l’orco.
Sul labbrone superiore si legge: “OGNI PENSIERO VOLA”, che ci porta a pensare al celeberrimo monito “Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate.” sulla porta dell’inferno dantesco.
Ciò che vi viene a malapena bisbigliato al suo interno, viene ben udito da chi sosta nei gradini esterni. Come una cassa di risonanza, amplificando con un certo riverbero, crea un’acustica piuttosto peculiare.
Se non c’è nessuno, provate a parlare o ad emettere versi per sentire come rimbombano ed escono.
MUUUHUAHUAHUAHUAAA!

Parco dei mostri di Bomarzo tra le statue più famose c'è l'orco

L’orco pare assumere espressioni differenti a seconda della luce del giorno.
Dentro, incavate nel tufo, ci sono delle panche ed un tavolo, che visto da fuori sembra la lingua.
Ci si riposavano all’ombra, e vi banchettavano (come usava nei sepolcri pagani), con il grottesco e duplice effetto di mangiare ed essere al contempo mangiati.

Una ulteriore lettura che è stata data della frase “ogni pensiero vola”, è che una volta entrati nel meraviglioso giardino, ci si dimentica un po’ di quello che c’è all’esterno, perchè si è presi dalla bellezza del luogo e dalla curiosità di capirlo.
Ma anche una specie di richiamo alla realtà, ricordando che: tutto ciò è solo immaginazione.
A voi cosa comunica?

Echidna, la Furia e i leoni

Poco prima del piazzale delle pigne ci si imbatte in un’altra combriccola piuttosto interessante.
Echidna, una donna con due code. Attenzione a non avvicinarla troppo perchè secondo alcune leggende, aveva l’abitudine di divorare i passanti!
(Una raffigurazione che le somiglia, anni dopo l’abbiamo incontrata, con una certa sorpresa, in una cattedrale in Basilicata, ad Acerenza).
Vicino a lei, due leoni guardano in direzioni opposte, figurativamente alba e tramonto. Il leone, oltre che essere un simbolo alchemico ricorrente, è presente anche nello stemma di Viterbo.

E rimanendo in tema di antropomorfismi, con loro c’è la Furia: non si tratta del celeberrimo “cavallo del west” televisivo, ma di una donna con coda ed ali di drago.
Nella mitologia romana le Furie erano demoni degli inferi, l’equivalente delle Erinni greche, personificazioni femminili della vendetta, capaci di fare impazzire l’uomo. Come si evince dal nome, sono piuttosto incazzerecce. Hanno serpenti per capelli, in questo simili alle Gorgoni, ed un alito di una certa pesantezza… in questo ahimè simili a tanti altri; tartassavano i criminali, vendicando i misfatti da loro compiuti.

statue del Sacro Bosco
Echidna bicaudata

Il tempio del Vignola

Leggermente fuori percorso, in cima ad una collina, al di sopra di tutti, è ubicato un piccolo tempio, che non venne costruito insieme alle altre opere, bensì vent’anni dopo.
L’edificio a forma ottagonale, incorpora differenti forme architettoniche di diverse epoche come quella classica e quella rinascimentale.

L’atmosfera è completamente diversa, tutto è calmo, nessun mostro, battaglia, o elevazione.
All’interno (non accessibile) si scorgono delle lapidi in memoria di Giancarlo e Tina Severi Bettini, che con passione curarono il parco.
È decorato con i gigli dei Farnese e la rosa degli Orsini. Sulla volta, c’è una fenice; essa rappresenta la fase finale del processo alchemico, ma è anche nota per risorgere dalle ceneri, ulteriore riferimento all’eternità.
All’esterno del tempietto si riconoscono i segni zodiacali. Sono ordinati secondo il sistema solare, posti cioè seguendo l’ordine dei pianeti a cui i segni corrispondono. Chi li ha realizzati possedeva quindi nozioni di astronomia ed astrologia, in un’epoca in cui la teoria eliocentrica copernicana era ai primissimi albori.

Lasciando il parco dei mostri di Bomarzo

A cospetto delle evocazioni mitologiche delle varie statue, ci siamo sentiti come in una favola; abbiamo riflettuto su come i miti siano stati concepiti per trasmettere tradizioni mediante un linguaggio simbolico.
In fin dei conti, i mostri che ci hanno accompagnato in questo viaggio nel fantastico a Bomarzo, non sono così terribili; servono a tutelare le verità ermetiche e a favorirne la memorizzazione. Ognuno di noi, fuori dal parco, ha i propri mostri personali da affrontare, in quell’enorme percorso di elevazione che è la vita.

Vicino Orsini, che per le statue sviluppò una devozione quasi mistica, voleva che i suoi ospiti restassero incantati come in un sogno.
Le parole su un cippo non particolarmente in risalto, ci rammentano cosa significhi perdere chi si ama, oramai partito per un viaggio senza ritorno in una dimensione lontana; quella dimensione a cui molte delle creature dei giardini sono in qualche modo legate.
Su quel pilastro si legge “Sol per sfogare il core”…

Guardate anche la carrellata delle statue del parco dei mostri di Bomarzo in questo pin-idea!

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4 risposte

  1. Orsa ha detto:

    Ma è bellissimo questo reportage, Lemuri! Ho adorato la vostra “esegesi” delle creature di Bomarzo! 😀
    “Solo per sfogare il core” di Orsini
    “Solo per compiacere il core”… di Orsa 😛

  2. Simone ha detto:

    Un Parco bellissimo e divertente da visitare, i bambini (ma anche noi adulti) impazziscono. La casa pendente è poi una sfida al proprio equilibrio. Ottima descrizione della visita.

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Grazie Simone, è proprio un luogo che si presta a più livelli di approccio, sia quello divertente in mezzo a bizzarre raffigurazioni, sia a quello più introspettivo legato alla sua misteriosa simbologia.

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