Canada? Macché, è la natura selvaggia dell’antico Ducato d’Urbino!
Protagoniste di questo Guest Post sono le bellezze naturali dell‘antico Ducato d’Urbino, che Marco ci racconta in cinque tappe, buona lettura!
Le terre di quello che un tempo era il piccolo Stato di Montefeltro sono ai giorni nostri famose per ospitare il bel Palazzo Ducale di Urbino, il Castello di Paolo e Francesca e l’infinità di suggestivi borghi che restano lì da secoli ad artigliare ogni altura offerta allo sguardo.
Un territorio assieme aspro e affascinante, quello di cui parliamo, che nel corso del tempo ha saputo ammaliare e ispirare le menti più divine. Luoghi che hanno conosciuto lo scorrere di vite eccellenti (come quelle di Raffaello, Rossini, Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini e Federico da Montefeltro), che si sono fatti culla del Rinascimento e che proprio nell’uomo hanno il loro migliore alleato, creatore e testimone.
Ci sono casi però – e da queste parti sono davvero innumerevoli – in cui il merito degli esseri umani sta tutto nel non aver interferito più del dovuto con i progetti di Madre Natura, nell’essersi limitati a un qualche decoro di poco conto in quel dipinto straordinario arrivatoci dritto dritto dalle mani dell’Onnipotente.
E di tutte queste meraviglie naturali, di cui ai più la gran parte rimane sconosciuta, te ne voglio raccontare cinque.
Pronti? Si parte!
Le gorghe di Parchiule
Esiste, incastonato tra i boschi dell’Appennino e a poca distanza dal Capoluogo Comunale Borgo Pace, un minuto villaggio chiamato Parchiule. È un borghetto piccolo piccolo che pare uscito dal medioevo appena un quarto d’ora fa, dove le case sono ancora in pietra lavorata a mano e i tetti composti di lastre di arenaria come da tradizione dei secoli di mezzo.
Ora, considerando che i residenti sono appena qualche decina e che industrie e grandi vie di comunicazione rimangono lontane, si penserà a Parchiule come a un paese che muore. E invece è un abitato vivissimo ad ogni stagione, che ha saputo far innamorare fotografi, ciclisti, cercatori di funghi e amanti del trekking… diventandone in pratica la seconda casa.
D’estate poi accade di scorgere intere famiglie in costume da bagno e infradito. Una cosa sorprendente, se si pensa che la costa dista non meno di ottanta chilometri. Il fatto è tuttavia spiegabile con l’incessante e millenario lavoro del torrente Auro, che con il suo scorrere è stato capace di scolpire cascate e piscine naturali d’impressionante bellezza. Ma la meraviglia di questi luoghi non è riservata soltanto agli occhi, è l’intero corpo a poterne godere quando il caldo si fa opprimente e una nuotata nelle acque fredde e cristalline si fa salvifica.
Fonte d’Arco
Ci trasferiamo ora nei pressi di Cagli, più precisamente nella frazione di Pieia. Ci troviamo in un borgo davvero caratteristico e legato alla tradizione, dove il lavatoio comune non è messo lì come un ‘amarcord’ ma viene a tutt’oggi utilizzato dalla ristretta comunità locale.
È bello gironzolare tra gli stretti vicoli di quest’abitato cresciuto in mezzo ai boschi del Nerone come per un incantesimo, ma occorre far attenzione a non chiedere gli straordinari ai piedi. Perché saranno proprio loro a doverci condurre, attraverso un sentiero un tantino accidentato, fino alla vera star del posto.
Mezzo chilometro appena è ciò che separa Fonte d’Arco da Pieia, ultimo avamposto della civiltà. Eppure, una volta arrivati, l’effetto che se ne ricava è quello di sentirsi protagonisti di un ottocentesco romanzo d’avventure. Credimi, ci sono pochi altri posti al mondo nel cui silenzio è possibile rintracciare i fili invisibili che legano l’uomo alla natura e, in fin dei conti, ritrovare se stessi come in quel di Fonte d’Arco.
E proprio a questo dovettero pensare quei monaci venuti qui in cerca di solitudine e redenzione quando, attorno all’anno mille, vi fondarono un piccola e umile dimora di cui sono ancora visibili i resti.
Ma che cos’è esattamente Fonte d’Arco? È una caverna dalle dimensioni spropositate che ha visto il suo tetto crollare in un momento perduto negli abissi del tempo. Quello che ai giorni nostri lo sguardo è in grado di cogliere è un enorme anfiteatro naturale, a cielo aperto, che ospita una vastissima gamma di specie vegetali rarissime. C’è solo un modo per accedere: quello di oltrepassare un arco di roccia simile a un immenso, straordinario portale.
La gola del Furlo
È tra i comuni di Acqualagna e Fermignano che se ne sta l’ennesimo capolavoro offerto da Madre Natura a chi decide di visitare la Provincia di Pesaro e Urbino: la gola del Furlo.
Ci sono voluti millenni su millenni all’impetuoso fiume Candigliano per modellare il paesaggio tra i rilievi del Paganuccio e del Pietralata. Molto meno tempo è invece occorso all’uomo per capire che il lavoro già portato a termine dal corso d’acqua poteva essere sfruttato. Proprio qui infatti si è deciso di realizzare, approfittando della presenza della forra che taglia le montagne, una delle strade più celebri di sempre: la Via Flaminia, atta a collegare Roma a Rimini.
A lavori ultimati, gli esseri umani credettero di aver vinto la natura, non si erano affatto accorti d’essere giusto un tantino da essa tollerati. Ma dovettero scoprirlo presto, e a loro spese: ogni volta che il cielo cambiava d’umore, il Candigliano prendeva a ruggire e a devastare, come per un improvviso scoppio d’ira, quanto dagli uomini faticosamente costruito.
È proprio come riparo da frane e altri tiri mancini giocati dall’indomito corso d’acqua che nel 76 d.C., per volere dell’Imperatore Vespasiano, venne edificata un’opera architettonica davvero avanguardistica per l’epoca: vale a dire una galleria lunga poco meno di quaranta metri e larga sei, un traforo portato a compimento a forza di braccia.
Percorrere oggi, a piedi o in bici, i tre chilometri di strada lungo il passo del Furlo significa tuffarsi in una natura incontaminata, nel genio dell’uomo che tenta di resisterle e nella storia.
Le Marmitte dei Giganti di Fossombrone
Pochi chilometri a est della gola del Furlo, le acque del Candigliano vanno a gettarsi in quelle del più noto fiume Metauro. E assieme danno origine a uno spettacolo, conosciuto soprattutto tra gli appassionati di Kayak, al quale la tradizione ha affibbiato il nomignolo di Marmitte dei Giganti.
Si tratta di un canyon tanto piccolo quanto spettacolare, un graffio che si addentra per oltre trenta metri al di sotto della crosta terrestre e che fa bella mostra di sé da oltre centoquaranta milioni di anni.
La spiaggia di Fiorenzuola di Focara
Siamo quasi al termine di questo viaggio che pian piano dall’entroterra ci sta portando fin sulla costa. Voglio comunque dirti un ultimo luogo: quella Fiorenzuola di Focara che, probabilmente, deve la seconda parte del suo nome all’antica presenza di fuochi di segnalazione per aiutare i naviganti.
In fin dei conti anche Dante Alighieri racconta del terribile pezzetto d’Adriatico sul quale Fiorenzuola si affaccia, e lo fa consigliando i marinai di votarsi ai santi nel caso si fossero ritrovati a navigarlo.
Siamo in un paese da favola, testimone per eccellenza – assieme al vicino castello di Gradara – del periodo medievale, in cui la collina e il mare trovano l’unione perfetta.
Sono 177 metri appena quelli che dividono l’abitato dalle onde che s’infrangono sul colle al quale l’abitato tenta ostinatamente di rimanere abbarbicato, tuttavia sufficienti a scoraggiare molti turisti dall’intraprendere gli scomodi e scoscesi sentieri che conducono alla spiaggia.
Ed è proprio per questo che il fazzoletto di sabbia tra le acque e il poggio può vantare ancora un aspetto selvaggio, quasi da classica isola deserta, dove all’assenza di servizi fa da contraltare una meraviglia del tutto intatta.
Non è un caso che la spiaggia di Fiorenzuola di Focara è, secondo i tipi di Skyscanner, da annoverare tra le quindici più belle d’Italia.
Se vuoi saperne di più sulle storie e sui luoghi della Provincia di Pesaro e Urbino vienimi a trovare su www.ilfederico.com
Marco Toccacieli
Vi è piaciuto questo racconto? Vorreste pubblicarne anche voi sul sito dei Lemurinviaggio? Contattateci! 😉
Una zona che conosco molto bene. Da Urbino alla Gola del Furlo a quello scorcio sulla spiaggia sotto Fiorenzuola di Focara. Bei ricordi di giorni trascorsi tra mare e collina. Ciaoo
Una zona che non conosco affatto, mea culpa… Bella questa cosa dei guest post, mi piace molto!
È proprio vero che non bisogna andare troppo lontano da casa per trovare meraviglie. È la bellezza dell’Italia.
Assolutamente! L’Italia abbonda di bellezze e meraviglie!