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L’apostolo mauriziano

Potremmo definire “pochi ma buoni”, anzi… “pochissimi ma buonissimi”, il novero di coloro che hanno donato ad altri tutti i loro averi, dedicando incessantemente il resto della propria vita al prossimo.

Conosciamo la storia di Siddartha, di San Francesco, e di alcune altre anime nobili capaci di scelte di vita così importanti ed altruiste, dotate di “virtù estrema”, magari ritenute un tantino irrazionali e spericolate agli occhi di chi non ne intende la vocazione.
Per fortuna, di “pazzi” in quel modo, dalla bontà sovrumana, continuano talvolta ad essercene, rappresentando un esempio per tutti, in quanto a generosità ed abnegazione.
Il piccolo grande uomo protagonista di questo racconto è Jacques Desirè Laval, che qualcosa di sovrumano dentro sé, lo ha avuto; fu il primo a venire beatificato da un Papa Giovanni Paolo II freschissimo di investitura.

Adieu France

Nacque in Normandia da una famiglia agricoltrice benestante. Perse la madre molto piccolo, quando aveva solo sette anni.
In giovinezza, indeciso se intraprendere gli studi ecclesiali da prete come lo zio, o se studiare medicina, scelse di dedicarsi a quest’ultima, laureandosi con tesi sull’artrite reumatoide, ed esercitando in seguito la professione… ma un incidente a cavallo (il 3.2.1835), in cui rischiò di morire, gli fece cambiare prospettiva. Fu così che riavvicinò i sentimenti religiosi che aveva accantonato e si iscrisse al seminario di Saint Sulpice a Parigi.
Presi i voti, svolse opere di carità come parroco presso la parrocchia di Pinterville, dove nell’arco di due anni riuscì a richiamare molte persone alla frequentazione.

Ma Pere Laval (padre Laval) voleva fare molto di più, e dopo alcuni anni, giunse ad una drastica decisione: donò tutti i suoi averi alla congregazione dello Spirito Santo e dell’immacolato cuore di Maria, ed il 23 febbraio 1841 partì come missionario. Non rivide mai più la Francia.
Venne mandato in una disastrata Mauritius, che oggigiorno consideriamo un confortevole paradiso naturale, ma in passato era assai diversa da oggi. Vi approdò a bordo del Tanjore il 14 settembre 1841, senza nulla, assieme ad un vescovo e altri tre missionari…

chiesa di Saint Croix Mauritius dove si trova la salma di padre Pere Laval

Bienvenue île Maurice

All’epoca Mauritius aveva abolito solo da qualche anno la schiavitù e soffriva di diversi problemi. Erano soprattutto gli ex-schiavi ad avere bisogno. La povertà era sia materiale che spirituale.
Laval imparò la loro lingua (scrisse il catechismo appositamente in Creolo) e mise a disposizione le proprie capacità mediche, occupandosi delle tante persone povere e lasciate a loro stesse. Non gli mancavano umiltà e buona volontà, dormì persino in cassoni da imballo dei cargo.

Ci furono momenti di grande sconforto e frustrazione. Ciò per il quale sentiva di essere stato chiamato, sembrava impossibile da compiere.
Quasi non fossero bastate le difficoltà di base da affrontare, ad un certo punto si trovò persino a doversela vedere con le élite del posto; non a caso, per un certo periodo, delle bande andavano a disturbare i catechismi serali battendo alle porte con dei bastoni.

Ebbe contrasti con altri missionari e con i propri superiori, ma col tempo, ottenne l’aiuto per far costruire scuole, ospedali (affrontando tre epidemie di colera), chiese e cappelle in giro per l’isola, riuscendo a dare avvio a quell’impostazione sociale che incresciosamente latitava al suo arrivo.
Si stima abbia evangelizzato circa 67 mila isolani. E non sono sicuramente gli unici a portarlo in cuore: a Mauritius è amato da tutti, indipendentemente dalla religione di appartenenza.
Le sue riforme furono cruciali nel miglioramento della qualità della vita nell’isola, in maniera trasversale in vari ambiti, come in quello agricolo, quello sanitario, medico, scientifico, e nell’istruzione.

Per i suoi instancabili sforzi Pere Laval viene anche denominato l’apostolo di Mauritius.
Morì di cause naturali nel 1864 a Port Louis. In sua memoria, il 9 settembre è diventato giorno di festa nazionale. I pellegrinaggi alla sua tomba sono continui, ma sotto quella data si intensificano ulteriormente, con devoti che arrivano da tutto il mondo.
Riposa in un sarcofago di vetro, attraverso cui si scorge una raffigurazione in cera. È posto in una cappella esterna a fianco della chiesa di Saint Croix, dove in passato pare abbiano avuto luogo guarigioni miracolose.
Miracoli o meno… che si arrivi a suo cospetto, appositamente per chiederne l’intercessione o meno… l’atmosfera è bellissima. Ed è ancor più intenso contemplarlo in compagnia dei Mauriziani che si soffermano a pregare.
Non sono dunque solamente le spiagge ad emozionare, in questa splendida isola.

salma di Pere Laval a Mauritius

Questo piccolo grande uomo, arrivato senza nessuno ad accoglierlo, se ne è andato con decine di migliaia di persone a scortarlo! Ed il suo ricordo, rimane di conforto ed ispirazione ai posteri.

Missione compiuta padre.

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6 risposte

  1. untrolleyperdue ha detto:

    Un esempio per chi predica bene e razzola malissimo. Ce ne fossero di più di queste persone così magnanime! 😉

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Purtroppo, soprattutto al giorno d’oggi, c’è chi fa del “bene” solo di facciata o solo a parole, ma per fortuna esistono ancora anime nobili che senza ostentarlo, dedicano la propria vita al prossimo.

  2. Elena del Becaro ha detto:

    Sarò impopolare, ma devo essere onesta. C’e sempre un aspetto a cui non si pensa quando ci si riferisce ai missionari ed è che la loro carità a un prezzo: la perdita di un pezzo di cultura locale, lo smantellamemto di un sistema religioso e rituale alla base delle civiltà originarie. Perché? Perché noi occidentali dobbiamo sempre intervenire in questo modo? Lo dici tu stessa: ha evangelizzato 67.000 persone. Ce n’era bisogno? Non ti sembra che si ricade sempre nell’ottica dell’uomo bianco salvatore che sostituisce un credo e una cultura locali con qualcosa che sembra sempre meglio di ciò che c’era? Ma lo è veramente? Non fraintendermi lui sarà stato sicuramente un illuminato come ce ne sono stati tanti nelle Missioni in America Latina, Africa e altri parti del mondo, ma il prezzo dell’aiuto dei missionari è alto. Bisogna tenerne conto.

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Bella osservazione! Noi siamo per la massima tutela di popoli e territori. Col passare del tempo, nei nostri viaggi, ci duole talvolta constatare come su molti aspetti culturali ed economici, certi luoghi tendano a perdere le proprie radici, e ciò che peculiarmente li caratterizzava.
      Che la causa sia dovuta a contaminazioni eccessive (se non addirittura assimilazioni quasi totali) da parte di altre culture, oppure a un’estinzione ineluttabile delle proprie tradizioni, si tratta comunque di patrimonio che va irreversibilmente perduto (lingue, credenze religiose, usanze, ecc).
      Nella fattispecie, siamo giunti a considerare due aspetti, sulla liceità o meno nell’intervenire in maniera così rilevante su società altrui.

      Il primo è il rapporto costo/benefici.
      Gli ex-schiavi Mauriziani dell’epoca erano allo sbando: erano sì liberi, ma quasi del tutto incapaci di gestire la propria esistenza.
      Sessualmente erano promiscui, le donne rimanevano incinte e lasciate sole senza nemmeno sapere di chi fossero i figli. Laval, fu cruciale nel forgiare ciò che rappresenta il mattone della società, ovvero la famiglia. Erano inoltre analfabeti, e destinati a rimanere perennemente emarginati, senza alcuna possibilità di crescita o inserimento, e lui li alfabetizzò.
      Possedevano pochissimo, e quel poco se lo rubavano a vicenda, a scapito del più debole fra i deboli, e Laval cercò per quanto possibile di educarli nel rispetto reciproco, e nell’aspirazione di intendere la propria esistenza non solo come singolo, ma come comunità.
      Il collante che egli conosceva, e che poteva dare una direzione e un senso a chi sopravviveva alla giornata, era ovviamente la religione. Può effettivamente essere discutibile, ma a quei tempi le società occidentali ne erano fortemente impregnate, ed il modello di riferimento inevitabilmente se la portava dietro come elemento di un certo peso.
      Da quel che si conosce dell’epoca, loro non erano felici. Solo le elitè vivevano benissimo. Gli ex-schiavi , li si sarebbe potuti anche lasciare com’erano, ma non avevano prospettive.
      Da un lato dunque, il costo è perdere il proprio stile di vita precedente (che li faceva soffrire, a cui dubito tenessero), e dall’altro, il beneficio è di aver imparato a leggere e scrivere, aver formato famiglie, trovato lavoro, e costruito insieme edifici a miglioramento della vita di tutta la comunità.
      In quel particolare caso, pensiamo che per la gente del posto, in tal senso, sia più ciò che ha guadagnato. (Al contrario di quel che diremmo invece di aborigeni in Australia o di indiani d’America).

      Il secondo aspetto su cui abbiamo riflettuto, è l’obbligatorietà.
      Sebbene incoraggiati a farne parte, non pensiamo che nessuno degli ex-schiavi sia stato obbligato ad abbracciare quella religione contro la propria volontà.
      Gli edifici costruiti, rimanevano a disposizione di tutti, senza distinzione di credo (o di ateismi). Le cure, mediche e non, che Laval rivolgeva ai più disperati avvenivano a prescindere dal loro interessamento o meno al Cristianesimo. Rivolgeva il proprio amore a chi era discriminato, per cui, aldilà dell’impostazione che poteva proporre come educazione, pensiamo che il “costo” rappresentato dall’abbandono di come vivevano prima, fosse facoltativo.

      A Mauritius comunque di stravolgimenti ce ne sono stati parecchi: fu per un periodo sotto i Francesi e per un altro sotto gli Inglesi. Ma prima di tutti, erano arrivati gli Olandesi, che alcuni secoli fa ebbero addirittura effetti sulla fauna del posto… costata l’estinzione del povero Dodo (al ritorno dal nostro viaggio, ne abbiamo scritto un articolo dai toni tragicomici).

  3. Claudia ha detto:

    Ciao questa storia non la conoscevo, molto interessante, dove si trova questa chiesa a Mauritius? Prossimo inverno ci torno! 🙂

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Ciao Claudia, non è particolarmente facile da trovare poichè è un po’ fuori da Port Louis, in un paesino che si chiama Sainte-Croix. Una volta usciti dalla A1 comunque si trovano cartelli che la indicano, con la dicitura “eglise”; gironzolando il villaggio abbiamo sbagliato un paio di vie, ma è piccolo, e dopo qualche tentativo si raggiunge il maxi spiazzo adiacente alla chiesa, all’edificio laterale dove riposa e dove i fedeli vanno a pregare soprattutto per guarigioni, ed una scuola a suo nome.

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