Lancio di dodi
Anni addietro mamma Rai creò un pupazzo per la conduzione di un programma per bambini, in risposta al pupazzo Uan (N.B. si pronuncia come si pronuncerebbe “one”) di Bim bum bam, e al pupazzo Four di Ciao ciao.
Era Dodò; era un tenero e buffo uccellone a pois azzurri che viveva in un Albero azzurro, nome da cui poi è derivato anche quello della trasmissione.
Personaggio non del tutto di fantasia, in quanto il dodo, era un volatile realmente esistito, endemico dell’isola di Mauritius, poi estintosi. Fa un effetto strano pensarlo come a qualcosa di reale. Un po’ come credere che l’omino Michelin fosse un tempo realmente vissuto in gomma ed ossa; o che il Gabibbo prima della brillante carriera in tv, fosse un macellaio Ligure, espostosi a troppo sole.
Com’era fatto il dodo
La storia commovente del dodo è legata al fatto che la sua particolarità era di non saper volare: corpo troppo grosso ed ali troppo piccole.
L’evoluzione, nei confronti di questa sorta di Homer Simpson piumato non era stata clemente, poiché si suppone che i suoi progenitori avessero avuto capacità aeronautiche come gli altri uccelli, ma che poi col tempo, le ali si siano atrofizzate e il corpo si sia notevolmente ingrossato, iniziando di conseguenza a fare sempre più nidi a terra e a nutrirsi di semi, frutta ed altro cibo che non richiedesse impegnativi distaccamenti dal suolo (sollevateli voi 30kg con quelle alette!).

La fine del dodo
L’invitante clima di Mauritius, e l’assenza di predatori, devono quindi aver convinto questa specie ad interrompere le proprie migrazioni e a convertirsi al sedentarismo, rimanendo a poltrire nella splendida natura che quel luogo ancor oggi offre, con annesse e connesse conseguenze che uno stile di vita simile comporta. E come biasimarli!
È stata questa la causa della loro scomparsa? Temo di sì.
Non tanto per ictus, obesità, diabete, malattie cardiovascolari o simili, quanto piuttosto perché da un certo momento in poi, sull’isola sono comparsi dei nuovi predatori: gli esseri umani.
Quando dapprima transitarono i Portoghesi, ma soprattutto quando poi vi si insediarono gli Olandesi, quel paradiso disabitato si trasformò per i dodi in un inferno. Senza che potessero volare via, diventarono prede facili per i coloni. Non a caso il termine “doido” in portoghese significa buffo/goffo; e ciò probabilmente spiega anche il motivo di quello sguardo non proprio scaltro che gli dipingono negli onnipresenti souvenir.
Le attuali teorie comunque propenderebbero per un epilogo un po’ diverso: poichè il sapore della sua carne non era particolarmente gradevole, pare si sia estinto piuttosto per il non essere riuscito a difendere le proprie uova (una sola per ogni covata), e per via del deperimento dell’habitat, soprattutto in termini di reperibilità di cibo sottrattogli dai nuovi abitanti. Sebbene all’epoca gli umani non fossero mai stati più di una cinquantina, introdussero con sè anche altri animali antagonisti (cani, gatti e maiali, oltre a topi e macachi che erano a bordo), e questo fu sufficiente a sovvertire i fragili equilibri.
Poveri dodi, forse alcuni secoli prima dell’arrivo dei nuovi coinquilini avrebbero dovuto prendere qualche lezione di volo. Anche se, come si sa, le metodologie di addestramento dei genitori-uccello generalmente consistono nello scagliare il piccolo nel vuoto, lasciandogli a disposizione solo pochi secondi durante il volo di esordio, per imparare a planare… o per schiantarsi. Nessun simulatore, nessuna teoria, nemmeno un “in bocca al lupo”, al massimo solo un: cip.
Non ce lo vedo il dodo imparare a volare subito al primo lancio, quanto piuttosto impanicarsi perchè non ha le zampe a terra! Chissà, forse si sarebbe estinto anche prima, nell’eventuale tentativo di reimparare…

Cosa rimane di lui
Le ultime tracce che si hanno, risalgono al XVII secolo, e sappiamo di lui grazie anche a disegni, dipinti, e racconti in diari di bordo delle compagnie delle Indie.
Da allora è diventato icona simbolo dell’estinzione indotta dall’uomo, e al tempo stesso mascotte di Mauritius; compare sulle rupie mauriziane, in francobolli, cartoline, libri, magliette, cappellini, astucci, bottiglie di rhum, tazze, e simili, in quanto rappresentante ideale del made in Mauritius.
Colloquialmente, in alcuni idiomi, c’è anche chi lo usa come termine associato ad inettitudine. Per cui se dopo una clacsonata in auto doveste sentire qualcuno che vi dà del dodo, sappiate che forse intendeva: “AAA MORTOO DE SONNOOO!“

Povero dodo, anche se, l’averlo paragonato a Homer Simpson, mi ha fatto scappare un sorriso.
d’oh! speriamo che al dodo stia bene questo paragone