Dentro una base della Marina Giapponese a Taiwan
Di posti abbandonati ne ho visti tanti, ma in una stanza come quella non ci ero mai entrato.
Quanto supposto da Lemu Rina, si è poi rivelato tanto allucinante, quanto vero; ma sul momento non me ne ero reso conto.
Ecco cosa ci è capitato di vedere… e toccare, al (Former) Japanese Navy Fongshan Communication Center.
Japanese Navy Fongshan Communication Center
Ad est del fiume Chienchen, in un distretto semiperiferico di Kaohsiung (Taiwan) vi è uno stranissimo complesso di edifici, recintato da alte mura circolari, dal diametro pressapoco di 300 metri.
Era una delle tre stazioni di telecomunicazioni della marina imperiale giapponese, costruita nel 1919. All’epoca il Giappone possedeva Taiwan, ed usava questa stazione, almeno inizialmente, per comunicazioni civili, soprattutto verso la madrepatria.
Allo scoppio della guerra Sino-Giapponese, venne poi impiegata nel monitoraggio dei movimenti in mare e aria della marina britannica e di quella americana, ed all’occorrenza per schermarne (o disturbarne) le comunicazioni.
Oggi è praticamente abbandonata, tranne che per uno spiazzo con dei canestri, ed un paio di locali rinnovati ad uso ricreativo, (in cui stavano mangiando e festeggiando un compleanno!).

Per la maggior parte, i vari edifici che lo compongono sono completamente vuoti, ad eccezione di alcuni ambienti lucchettati (pochissimi) usati come deposito.
Non ci sono tracce di vandalismo né di spray; solo il logorio del tempo sembra aver aggredito questo luogo. Anzi, ad un occhio attento si nota persino un accenno di manutenzione.
Riconosciamo gli ex dormitori, le cucine, un alto comignolo rotondo tipo fornace, le latrine, ed un’area dove venivano tenuti i mezzi pesanti.
In mezzo al prato, un bunker interrato sotto una collinetta, adibito a polveriera. In caso di esplosione, la detonazione sarebbe sfogata verso l’alto, senza danneggiare gli edifici circostanti.
Con sopra vecchi alberi è strategicamente mimetizzato, conformazione simile al resto della base sui cui tetti cresce della vegetazione.


Una giovane coppietta di fidanzati si avvicina a sbirciare e scatta qualche foto.
Rientrati poi in Italia, guardando un film Taiwanese girato un anno prima a Kaohsiung, abbiamo riconosciuto proprio quella parte, come location di alcune scene.
È stato divertente intruffolarsi letteralmente in ogni dove.
Suggestivo, negli interni di uno dei casermoni, imbattersi in un’ampia stanza vuota con un unico, piccolo banco, intenzionalmente posto al centro.

In una zona appartata invece, un lungo edificio a due piani lo abbiamo battezzato il “Nord Coreano”, perchè dalle fattezze ci ha fatto pensare a quello stile di architettura. Pare che un tempo, fungesse da ospedale della base.
Dentro, al piano superiore, abbiamo notato delle toilette con un’insolita scala verticale che evacua sul tetto. Sia mai che… dopo i bisogni corporali, non si verifichino anche quelli impellenti di salire sul tetto! Sarà forse per quello che la chiamano anche “ritirata” ? 😀
Il misterioso casotto verde

È a poca distanza da una torretta con del filo spinato che è avvenuta la scoperta menzionata all’inizio.
Si tratta di una stranissima stanza, in un casottino dipinto di verde, dalla stretta entrata, quasi da strisciarci le spalle nel percorrerne il breve corridoio di accesso… non riuscivo proprio a spiegarmene il senso!
Il modo in cui è stata “allestita” risale ad un periodo successivo; ovvero a quando dopo il 1945 in seguito alla pesante sconfitta in guerra, i Giapponesi persero tutto e consegnarono l’isola di Taiwan alla Cina.
È completamente imbottita, come quelle stanze di isolamento nei manicomi in cui rinchiudevano i degenti in camicia di forza.
Da un lato, ci sono due rientranze che sporgono in dentro, a loro volta imbottite con gommapiuma.
Sono confuso. Scarto le ipotesi di una stalla; non mi riesco spiegare nemmeno due cabinotti adiacenti all’entrata.

Circa un minuto dopo Lemu Rina mi raggiunge dentro, e senza esitazione esclama “Qui ci facevano gli interrogatori!”.
Gli anni del terrore bianco
Quando la marina cinese prese possesso del complesso di Fongshan, lo convertì, almeno di facciata, in una sorta di pensionato per ufficiali e soldati; ma il reale proposito, quello nascosto, era un altro.
Lo usavano per interrogare e detenere i militari accusati di azioni politiche, o sospettati di spionaggio.
Quelle insolite imbottiture che abbiamo visto forse servivano per attutire i suoni ? Forse ad occultare torture ? Era una prigione particolare ?
Sul retro di quel casotto verde c’è un’altra porta che immette in uno stretto stanzino sopraelevato dalle imbottiture assai deteriorate. È piuttosto angusto, più lungo che largo; si cammina su precarie assi di legno scricchiolanti sino ad un vecchio rivestimento scollato.
Fu nel 1976 che la base che stiamo battendo metro per metro, divenne ufficialmente il mingde disciplinary camp, dove venivano imprigionati i dissidenti, politici ed ideologici. I detenuti venivano chiamati “guests”, ospiti.
Era un centro di detenzione di medio livello; in altri ricevevano una “rieducazione ideologica”.
Correvano gli anni del terrore bianco, in cui i Taiwanesi scomodi scomparivano; confinati in posti simili, o uccisi.
Più di mille, tra ufficiali e soldati, sono passati di qui.
Sorpresa al centro delle telecomunicazioni

Ma le telecomunicazioni ? Se si chiama Japanese Navy Fongshan Communication Center dovevano pur esserci impianti dedicati a tali attività ?
Ci spostiamo in un’altra zona, oltrepassando una guardiola; in una sezione a parte, arriviamo a cospetto di una enorme struttura a croce.
È impressionante. Realizzata in cemento armato, ha porte e finestre blindate, pesantissime, inamovibili (non le sposti di un millimetro!); ricorda il caveau di una banca, ma probabilmente a sua volta faceva da bunker anti esplosione.


Si vedono residui di macchinari, manometri vari, stanzoni e stanzini, compresi gli uffici amministrativi.
Dopo aver curiosato per tutto il piano, ciò che attira la nostra attenzione, è una scalinata che scende di sotto al buio; cosa nasconderà…
La voglia di esplorare ciò che si cela là sotto è incontenibile, ma è buio pesto, non si vede nulla.
C’è un cartello in cinese, chissà cosa c’è scritto.
I sotterranei del communication center
Chiedo a Lemu Rina di attivare la luce del cellulare, ed iniziamo a discendere le scale verso quei sotterranei senza vedere ad un palmo dal naso.
Lei ad un certo punto rimane ferma, la fioca lucina non illumina praticamente nulla; io un gradino dopo l’altro la raggiungo, la sorpasso e proseguo, sebbene non stia ved…SPLAAAASHHH !?!!
Realizzo, nel buio totale, di avere completamente immerso il piede sinistro in un liquido fin sopra la caviglia. Lo tolgo imprecando alacremente, ed emettendo un suono che descriverei come “un tonfo seguito da uno scroscio”, tipo quando si estrae un grosso straccio dal secchio.

Non so come abbia fatto a non caderci dentro. L’inaspettata percezione tattile di bagnato è giunta solo quando il piede, appoggiato, era già completamente a mollo ed oramai stavo infilando anche l’altro.
Mantenendo l’equilibrio ho istintivamente riposto il piede ancora salvo in dietro, e facendovi precariamente perno, ho improvvisato un movimento inverso della sventurata gamba sinistra, sostanzialmente… un calcio volante.
Altrettanto istintivamente, in simultanea sono partiti i sottotitoli fatti di #@%## e di %$##@, insomma irripetibili… (ma probabilmente in qualche modo affini agli ideogrammi di quel cartello in cinese).
Chissà quanto è alta l’acqua là sotto ! Mancavano ancora diversi gradini prima di terminare la rampa di scale.
Morale della favola:
Non mettete MAI i piedi dove non vedete. Non proseguite MAI dove è buio pesto, se non avete precisa cognizione di com’è l’ambiente in cui vi state muovendo. Nell’entusiasmo di un’esplorazione può capitare di essere così presi da altro, al punto da non pensarci.
Ma soprattutto: non visitate edifici abbandonati dove non si tocca!