Il Palazzo dell’Inquisitore di Malta
Finire a casa dell’inquisitore di Malta, non è proprio come farsi mandare dal preside.
Per lo meno… dipende per quale motivo ci si trova lì.
Se per visita di cortesia, ecclesiale, ufficiale, o se per… apostasia, blasfemia, eresia, bigamia, profanazione, e via dicendo, che può culminare nei peggiori casi con tortura e incarcerazione.
Nel nostro caso, non lo giuriamo, ma si tratta di una semplice visita, giusto per curiosare un po’ e ritornare all’epoca del Sant’Offizio, ovvero della Santa Inquisizione.
Il palazzo dell’inquisitore a Birgu
Il palazzo si trova nella più antica delle tre città di Malta, ovvero Birgu, anche conosciuta come Vittoriosa, esistente sin dal medioevo.
Tra le varie funzioni, rivestì quella di residenza dell’inquisitore a partire dal 1574 e la mantenne fino al 1798, quando in occasione dell’occupazione francese a Malta, l’inquisizione venne abolita. In tutti questi anni subì crolli e rifacimenti, venendo ampliato e riammodernato più volte.
Ha scampato la demolizione nel 1908 quando si stava progettando la costruzione di appartamenti; e ha scampato i bombardamenti della seconda guerra mondiale, sebbene di quel periodo porti ancora i segni nei fori di proiettile visibili sulla facciata.
È quasi unico nel suo genere, gli altri esemplari di questo tipo, finiti gli “anni d’oro” vennero distrutti, o lasciati decadere.

Eretico!
Poteva bastare poco per cacciarsi nei guai. “Poco” secondo l’ottica odierna, dato che allora erano considerate scandalose inadempienze.
Ad esempio, un certo Grazio Laura iniziò a bersagliare di sassate un’immagine votiva appesa nelle prigioni dell’Ordine di San Giovanni, dopo aver perso al gioco d’azzardo.
Gli altri detenuti lo segnalarono. Lui provò a difendersi sostenendo di averla erroneamente colpita tirando pietre ad un topo; successivamente confessò, e pagò con frustate in pubblico.
Non osiamo immaginare, oggi, cosa farebbero a chi danneggia o vandalizza proprietà altrui con le bombolette spray.
Il mero possesso di oggetti proibiti poteva rappresentare prova di incriminazione. Formulari magici, papiri per il malocchio, grimori, persino un cappello di carta con formule apposte al fine di scacciare il mal di testa, costarono processi a chi li possedeva.
I libri proibiti venivano confiscati, ed eventualmente bruciati di fronte alla folla, in genere nella piazza di Vittoriosa. (Abbiamo notato che tra i libri proibiti, c’era anche quello di Nostradamus).
Gli officianti di Chiesa (chierici, frati, eccetera) erano particolarmente esposti. Coloro che non eseguivano a dovere i propri compiti, o che abusavano dei sacramenti, dovevano renderne conto.

Le pene nell’inquisizione romana
La maggior parte delle pene comminate era di tipo spirituale.
Prima di ogni verdetto era necessaria l’abiura, ovvero una pubblica confessione di pentimento in ginocchio; dopodichè si veniva condannati a periodi di preghiera, o di digiuno a pane ed acqua, o a fare pellegrinaggi. Per chi comunque ripudiava la religione, anche il solo gesto di baciare il crocifisso poteva rappresentare una espiazione detestabile.
Fra le condanne di tipo fisico (che riguardava circa il 10% dei casi), il repertorio poteva spaziare dall’umiliazione pubblica come girare per la città indossando grottesche maschere concernerti la propria malefatta, alla dolorosa deterrenza tramite pubblica fustigazione, ai classici servizi sociali (tipo fare da infermiere in ospedale), sino al remare nelle cosiddette “galere”, ovvero quelle imbarcazioni sospinte da una miriade di remi.
I casi reputati più gravi si beccavano la detenzione, ed in extrema ratio, l’esilio o la condanna a morte.
La tortura, al contrario di quanto verrebbe da pensare, non veniva utilizzata a scopo punitivo… si potrebbe piuttosto definirlo uno “scopo estorsivo”.
Venendo considerata parte del percorso per stabilire i fatti, e non parte della sentenza, vi si ricorreva nelle confessioni, o nelle testimonianze, qualora si sospettasse l’intenzione di nascondere qualcosa. Dunque anche chi partecipava al processo in veste di semplice testimone, se non voleva attirare eventuali sospetti su di sé (magari di falsa testimonianza), era meglio facesse attenzione, e collaborasse con una certa solerzia.
A Malta, come si evince in documenti da lui stesso firmati, anche il noto Caravaggio venne convocato come teste in un caso di bigamia.
Le stanze
Il giro del palazzo inizia al piano inferiore, negli ambienti delle cucine e del cortile interno.
L’atmosfera inizia a cambiare una volta che si sale di piano, percependo l’austerità (intenzionale) della scalinata e della camera d’udienza.
Al piano superiore si visitano i locali dell’inquisitore, e quelli più spartani del suo staff; di particolare interesse la guardia, che aveva una miriade di compiti e di responsabilità.
La stanza del tribunale ha una porta da cui gli ufficiali di corte accedevano, ed in un’altra parete ha una porticina più piccola (al di sotto del livello delle spalle) per l’accusato, concepita in modo che al suo ingresso avrebbe dovuto chinarsi a cospetto dell’inquisitore.
L’atmosfera che si respira in questa stanza è di solennità; in qualche angolo della mente ti trovi a ripensare se hai involontariamente sbagliato qualcosa.
Il silenzio che ”emana” quasi rammenta quello pre-interrogazione, quando il professore sta scorrendo il registro per scegliere chi interrogare.
Ai tempi però, gli interrogatori non erano interrogazioni, ed in gioco non c’era una brutta pagella, ma assai di più…


Il mondo di sotto
Scendendo di sotto, si entra a contatto con testimonianze differenti. Se fino a prima si potevano vedere plichi, registri, carteggi vari, scritti da chi imponeva una certa spiritualità; nei muri delle prigioni si scorgono incisioni con nomi, sigle, date, disegni e simboli scalfiti da chi quella spiritualità imposta l’ha, in qualche modo, violata o oltraggiata.
Le anguste celle seguivano una certa suddivisione, fra chi vi era rinchiuso in attesa di giudizio (quella che oggi definiremmo una custodia preventiva), e chi scontava una pena vera e propria.
Maschi e femmine erano poi ulteriormente separati, tant’è che si può anche notare una lieve diversità fra i servizi igienici inclusi. Erano stati allestiti con degli ingegnosi dotti interconnessi; se non lo si poteva dire del resto, almeno da quel punto di vista si trattava di un buono standard per l’epoca… Tuttavia prima di farla, bisognava bussare e chiamare la guardia.
Poi c’erano gli spazi comuni all’aperto.
Le fughe erano una evenienza piuttosto frequente.
Paradossalmente erano proprio le condizioni precarie, a favorire le evasioni.
Tra nicchie e scaffali incavati nelle pareti di arenaria friabile, c’è stato chi si è scavato un buco ed è riusciuto a scappare ben 8 volte in meno di un anno.
Altri hanno invece approfittato della distrazione della guardia che aveva lasciato la porta aperta.


Epoche oscure
Guardandoci indietro, l’uomo, nel corso della sua evoluzione è passato attraverso eccessi di vario tipo prima di riuscire a comprendere quale fosse la strada giusta da seguire; la sofferenza sembra essere componente inevitabile del percorso.
Immaginiamo che agli occhi di un antico inquisitore, il nostro odierno stile di vita non sarebbe ben visto.
Per fortuna, nel corso dei secoli, ci siamo messi alle spalle teocrazie e tribunali religiosi, sebbene ci sia purtroppo anche chi non ha ancora compiuto quel passo.
Aldilà della sua appartenenza ad un’epoca controversa, questo luogo, in cui si sono succeduti oltre una sessantina di diversi inquisitori, 27 dei quali cardinali, e due Papi, è di notevole importanza storica per Malta, più unica che rara.