Il Conte di Cagliostro al castello di San Leo
“Se i Lemurinviaggio non vanno a San Leo, San Leo va ai Lemurinviaggio“, potrebbe recitare un proverbio 2.0 che non sposta Maometti e montagne; e ciò è presto detto.
La rocca di San Leo è una delle classiche mete delle scolaresche del circondario; anche noi ai vecchi tempi delle elementari, (separatamente) la visitammo, assaporando ciò che poi a distanza di anni si è tramutato in una appassionata predilezione che entrambi nutriamo e condividiamo nei confronti di castelli, fortezze e rocche medievali.
Vieni a noi…
Da allora, ne son passate. Ci siamo profusi in tante scorrazzate di mondo, visitando castelli di varia foggia, fattura e impiego, dormendo in alcuni: come possiamo dunque non ritornare da adulti, a visitare proprio quel fascinoso forte che domina la Valmarecchia?
E pensare che un passo nella nostra direzione lo aveva anche fatto. Nel 2006 infatti, a seguito di un referendum, il comune di San Leo insieme a quelli di Novafeltria, Pennabilli, Sant’Agata Feltria, Talamello, Casteldelci e Maiolo, ottennero (circa 84% favorevoli) di passare dalla provincia di Pesaro-Urbino a quella di Rimini, diventando perciò dal 2009, Romagnoli.
La strada e i tempi di percorrenza sono rimasti i medesimi di sempre, ma quello sperone di arenaria su cui da secoli troneggia, lo abbiamo percepito un pochino più vicino alla riviera di quanto non fosse una volta. 🙂

I nostri occhi sono ancora simili a quelli da bambini, e la voglia di riscoprire i segreti di un posto simile, è immutata. Si va a San Leo, si va da Cagliostro!
L’enigmatico Cagliostro
Chi era costui? Un taumaturgo, alchimista che erroneamente tendevamo a considerare più affine ad un profilo Nostradamusesco, ma in realtà decisamente più prossimo al WannaMarchismo, considerando la sua natura di falsario (documenti, diplomi e titoli) e di truffatore.
Nel suo “curriculum”, prima di venire imprigionato a San Leo, aveva trascorso un periodo di detenzione persino alla Bastiglia, ed era stato arrestato in più occasioni anche a Roma e a Londra.
Nato a Palermo come Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, era meglio conosciuto come Alessandro, conte di Cagliostro… insomma, Cagliostro e basta. (Nè titolo nobiliare, nè nome sono mai stati confermati, e neppure che si tratti effettivamente della stessa, unica, persona!).
Nel corso della sua turbolenta esistenza, peregrinò le corti nobiliari d’Europa raggirando ricchi, coadiuvato dalla moglie, che prostituendosi concupiva le vittime.
Il castello di San Leo
La scarpinata da fare a piedi sino alla spianata del forte, vale ogni goccia di sforzo profuso; da lì si gode di un panorama bellissimo.
Il castello è tenuto molto bene; ci sono diverse esposizioni interessanti che spaziano dagli strumenti di tortura medievale, a gingilli legati all’alchimia e alle antiche superstizioni, oggetti massonici, armi, dipinti antichi, di tutto un po’.
Per chi non si volesse limitare alle tabelle informative sparse in giro per la fortezza, viene fornita gratuitamente un’audioguida; e per chi avesse scalmanati figli iperattivi, il luogo farà di sicuro presa su di loro, sia per la sua estensione, che offre occasione di curiosare giocosamente in giro, sia per la bizzarrìa di alcuni pezzi esposti.

Il pozzetto è uno fra i punti di maggior richiamo, tuttavia non è spassoso come Renato; è il soprannome dato alla cella di dieci metri quadri in cui Cagliostro trascorse i suoi ultimi quattro anni di vita. La nomea è dovuta alla particolarità di disporre di una botola nel soffitto come unico varco di accesso, sia per il detenuto che per i pasti.

La fortezza come luogo di detenzione
A forza di imbrogliare in ogni dove, e con ogni mezzo, viene la volta in cui pesti i piedi alla persona sbagliata, e di fronte alla quale, scappare molto lontano e ricominciare da zero per l’ennesima volta, non ti salva più.
Le accuse che vennero imputate a Cagliostro dallo Stato Pontificio furono di: magia, falso, truffa, calunnia, bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i culti della religione cattolica, pubblicazione di scritti sediziosi, massoneria (aveva fondato la massoneria del rito Egizio)… e soprattutto di eresia.
Abbastanza per la pena di morte.
Durante le udienze di difesa si autodefinì un “semplice cialtrone”, seguendo la linea del suo avvocato che cercava di spacciarlo per ciarlatano, così da velare una sorta di infermità mentale sulle sue malefatte. (Sono curiosi altri epiteti utilizzati da personaggi dell’epoca che lo conobbero: Goethe lo definì un “briccone”, Casanova un “genio fannullone”, lo storico Thomas Carlyle il “principe degli impostori”).
Il Sant’Uffizio nel 1791 gli convertì la pena di morte in ergastolo, da scontare in isolamento nelle dure prigioni di San Leo, ed ecco come finì nel pozzetto… E come successivamente ci impazzì dentro.
Un mondo di pochi centimetri
La cella oggi è visibile sia dal piano superiore, attraverso la famosa botola, sia da un piccolo pertugio nelle scale adiacenti alla parete attraverso il quale veniva sorvegliato, sia da un varco artificiale aperto in tempi recenti per consentire oggi ai visitatori di accedere fisicamente al loculo.
Disponeva di una piccola finestra con ben tre linee di inferriate, attraverso il quale scorgeva la punta di un campanile e un pezzetto di cielo.

Nel corso della sua prigionia, Cagliostro alternò periodi in cui si dimostrava ultradevoto e penitente, dichiarandosi ravveduto e pronto a convertire altre anime fallaci, (nella speranza probabilmente di convincere qualcuno a rivedere la sua condanna), ad altri periodi conditi di bestemmie, spergiuri ed incontenibili deliri rabbiosi. Si legge in una lettera, che le sue urla a volte giungevano sino al paese.
Le guardie comunque lo temevano, cercavano di evitare assolutamente di fissarlo negli occhi, anche solo per errore; si credeva infatti potesse essere capace di ipnotizzarle e convincerle a liberarlo.

Poteri occulti
Cagliostro aveva l’ammirazione delle folle; si diceva curasse casi impossibili, che sapesse comunicare con i defunti, che avesse capacità di bilocazione, di chiaroveggenza, telepatia, che potesse mesmerizzare con il palmo della mano; era stato iniziato a riti misteriosi, praticava l’alchimia, ed agli occhi di molti contemporanei era un mago.
Alcuni sensitivi ed occultisti postumi hanno sostenuto di essersi messi in contatto con il suo spirito. Anche il pittore fiorentino Giovanni Bruzzi dichiarò di aver assistito, nelle notti in cui era intento a realizzare alcune illustrazioni che lo ritraevano, a vari fenomeni inspiegabili, tra cui apporti di oggetti “ancora caldi” e poltergeist.


Ritorno alle celle
Avevamo ricordi vaghi di questo luogo; tornare a distanza di così tanto tempo a riscoprirlo, è stato come riguardare un film di cui si era dimenticata la trama. Dall’infanzia mi era rimasto solo il ricordo delle due sale sotterranee, dove presumibilmente avvenivano le torture, oltre a reminiscenze di qualche particolare qua e là della struttura.
Poco ricordavo ad esempio della cella di Orsini, un rivoluzionario del Risorgimento che tentò di uccidere Napoleone III, omaggiato da fiori deposti al suo interno; o della “cella del tesoro” in cui venne tenuto Cagliostro prima di venire assegnato al pozzetto, oggi cosparsa di miriadi di monetine lanciate dai visitatori.
La fine di Cagliostro
Al quinto anno di prigionia, in circostanze misteriose, morì. Forse un colpo apoplettico, forse il pugno di testa parte di un monaco, forse quello di una guardia; qualcuno disse che morì, mentre tentava la fuga, cadendo dalla rupe, altri che venne trafitto da un fulmine…
Fu sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza alcuna indicazione o formalità ecclesiastica, con un vecchio fazzoletto sul volto e un grosso sasso sotto la testa. Nella Chiesa non aveva mai voluto credere, sebbene volesse “far credere di crederci” al fine di strappare eventuali sconti di pena.
Tempo dopo, truppe mercenarie franco-polacche disseppellirono un corpo, nel ciglio più estremo del monte di San Leo, a occidente, presumibilmente il suo. Stando ad un testimone dell’epoca, tal Marco Perotti, prima di ridargli sepoltura, ne trattennero delle reliquie; il cranio, sarebbe stato da loro usato come coppa entro cui bere, presso la cantina del conte Nardini di San Leo.
I motivi per cui in passato venissero fatte cose simili, sono vari, a seconda della cultura. Alcuni guerrieri vincitori del neolitico suggellavano in quel modo la vittoria ai danni dello sconfitto; in altre epoche era parte di rituali sacri, si credeva nel trasferimento dello spirito vitale del defunto al bevitore; oppure gli si attribuiva una funzione curativa (esistono tribù dell’India del nord che tuttora lo fanno credendo che ciò allunghi la vita). Chissà se nel caso del conte, lo fecero in quanto adepti di qualche loggia massonica come lui.
…fine? Siamo proprio sicuri?
Si dice che il suo spirito vaghi ancora disperato per non aver ricevuto degna sepoltura.
Ogni 26 agosto, in molti, vengono a trovarlo, e c’è chi piange nella sua cella.
Curiosamente noi ci trovavamo proprio nel pozzetto, quando, a fine giornata, la custode che stava girando alla ricerca di chi fosse eventualmente ancora rimasto, ci ha avvertiti che era arrivato il momento di chiusura.
Ma forse, Cagliostro, ci ha fregati tutti: l’ipotesi più romantica, riguardante i suoi ultimi momenti a San Leo, lo vede riuscire a fuggir furtivamente via con abiti da sacerdote, dopo aver inscenato la propria morte…

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Grandi Lemuri! Quando torneremo a San Leo per visitare il castello avremo la vostra super guida a illuminarci su tutti i segreti di Cagliostro! 🙂
Purtroppo il Forte di San Leo era chiuso lo scorso dicembre, abbiamo potuto raggiungere solo le porte e ammirare il panorama sul borgo. Torneremo sicuramente! 😉
Il borgo è molto bello, panorami a 360°! 🙂 Merita assolutamente un ritorno, specie per la visita al castello che avevate trovato chiuso: un pomeriggio immersi nell’epoca medievale, tra le mura che hanno visto prigioniero Cagliostro. A presto!