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Chiusi nel campo di concentramento nazista di Mauthausen

La storia è in alcune sue parti costituita di pagine cruente, inaccettabili, che si vorrebbe non fossero mai state scritte, ma lo strapparle non servirebbe a nulla, anzi, a quel punto non potrebbero nemmeno essere di insegnamento ai posteri. Parlare della visita ad un campo di concentramento in un travel blog potrebbe forse stridere un pochino, ma per noi viaggiare è anche questo.

Luoghi simili, sono veri e propri macigni allo stomaco, che toccano la sensibilità di chi li va a vedere; è qualcosa di difficile da visitare e ancor più da raccontare. Ognuno prova a farlo in maniera personale, perchè la sofferenza, è qualcosa di intimo, che colpisce nel profondo.
Gli orrori e le atrocità di cui abbiamo letto in libri, visto in documentari, o sentito raccontare, una volta che si accede in un lager, assumono uno scenario a tre dimensioni, mostrandosi nella loro brutalità e tristezza, fra quelle mura, in quelle baracche, in quelle esposizioni, in quei reperti…

L’essere umano è capace di certe cose, e a quanto pare, lo è da sempre. Lo fu il secolo scorso in quei luoghi di prigionia e tortura, lo era nel medioevo, lo è da che esiste: cambiano tecnologie e modo di attuarle, ma non la cattiveria.
L’essere umano è anche capace di negare l’evidenza, persino quando questa si trova di fronte ai suoi stessi occhi.

Visitare il lager

Gli occhi in giro per il campo di concentramento di Mauthausen si riempiono di quei colori tenui, di vecchio stantio, di bellico, di consumato, di sofferenza, di annientamento.
Ci vuole stomaco: nelle ore di visita, “rivive” intorno a noi, ciò che i deportati dei lager subirono nel periodo della seconda guerra mondiale. A tal proposito consigliamo l’iscrizione in loco ad una visita in Italiano; nel nostro caso avevamo brevemente girato in autonomia fintanto che si è fatta l’ora di aggregarci ad un giro guidato, finito il quale, siamo nuovamente ritornati individualmente a contemplare alcune parti specifiche.
La guida, mostrando foto dell’epoca, raccontando ciò che avete intorno, e rispondendo alle domande, saprà descrivervi bene, ciò che accadeva in quello che è ingloriosamente annoverabile fra i campi più duri e logoranti della rete nazista.

Nella sola Mauthausen, a pochi chilometri da Linz (Austria), vennero uccise oltre 122.000 persone, tra cui circa 6.000 Italiani.

Esterno del campo di concentramento di Mauthausen

Le tante, troppe, Mauthausen

E pensare che ancora oggi esistono posti simili in attività, per esempio in Corea del Nord, dove si stima che al momento siano ben oltre centomila gli internati in condizioni estreme, la maggior parte dei quali senza alcuna colpa, semplicemente nati e cresciuti lì dentro, o imparentati con qualcuno considerato pretestuosamente colpevole dal regime.
Da un lato la comunità internazionale non riesce a farci nulla, si conosce solo qualcosa, tramite quei pochi che riescono a scappare; filtrano pochissime informazioni, proprio come all’epoca avveniva per quelli Europei.
Inoltre, l’eco di ciò che accade in quell’area, non giunge più di tanto a noi, e a quanto pare nemmeno agli attivisti, che evidentemente preferiscono “combattere” per altro.

Chissà, forse nel pensare ai campi di concentramento, c’è una sorta di illusoria propensione a voler circoscrivere come unica, l’abominevole vergogna dei lager nazisti in Europa.
Si è calcolato che tra i vari Stati (Germania, Austria, Polonia, Italia, Francia, …) tra il 1933 e il 1945 i morti siano quasi arrivati a 11milioni. Sono quelli che ci riguardano più direttamente, e i più vicini geograficamente a noi, ma purtroppo, tutto fuorchè unici.
Le vittime mietute nei laogai cinesi, nel periodo sotto Mao, furono intorno ai 27 milioni.
I prigionieri transitati nei gulag russi, secondo le stime di Solzhenitsyn, furono oltre 50 milioni.
I massacrati per mano dei khmer rossi nei killing fields cambogiani, si aggirano sui due milioni.
Anche in Vietnam c’erano i cosiddetti campi di “rieducazione”, chiamati trại học tập cải tạo, … insomma, pur senza menzionare tutto, è agghiacciante constatare quanto genocidi, violenze e torture, siano (stati) così diffusi.

Campo di concentramento nazista di Mauthausen

Quella scintilla nel profondo

La natura umana deve aver tirato fuori l’istinto di sopravvivenza in chi cercava ogni giorno di arrivare vivo a sera, a costo di imbarbarirsi quanto i propri aguzzini, a costo di uccidere per non essere ucciso.
Un luogo infernale come il campo di concentramento di Mauthausen, è riuscito a destare una ancestrale parte animalesca insita anche in noi.
Nel nostro piccolo, senza che ne sussistesse alcun motivo, stavamo inconsapevolmente trovando nella sua controparte razionale, e in qualche riferimento visivo circostante, una sorta di “conferma di sicurezza”.
Ci è infatti capitato a fine giornata di uscire per un momento al parcheggio a prendere dalla macchina una memoria, e rientrare velocemente dentro… per poi vederci, poco dopo, chiudere alle nostre spalle i cancelli.

Ebbene, non siamo in guerra, sono trascorsi più di 60 anni [al momento n.d.a] da quando luoghi come questo erano operativi; nelle ore precedenti lo si è visitato senza rischi, intorno è rimasto pure qualche altro visitatore… ma vederti chiudere dentro, è una sensazione inaspettata, involontaria, ed istintivamente molto forte!
Come un animale chiuso in trappola.
È forse una specie di claustrofobia: sebbene tu non sia fisicamente rinchiuso in un luogo senza aria (sei all’aperto), e nemmeno in un luogo stretto (ti trovi in un ampio spiazzo), il cervello, nel non sapere più della via d’uscita, accende una spia che comunica immediatamente un forte senso di disagio che amplifica il senso di oppressione.

Solo la ragione può calmare quel sussulto sovverchiante che ti mette improvvisamente in allerta, mentre sei virtualmente chiuso dentro; ed il senso di inquietudine con cui avevi imparato a convivere nelle ore precedenti, spinge di continuo per venire a galla con più forza, rendendosi ancor più difficile da domare.
Nessuno ti impedirà di uscire quando vorrai, e nessuno ti farà del male, ma sei chiuso lì.
Con gli ultimi visitatori della giornata, sei chiuso in un campo di concentramento quasi completamente spopolato, fra residui di sofferenza e schegge di disperazione.

Aiuto.

Come se ciò a cui si assiste là dentro, da solo non bastasse. Potete immaginare: le baracche dove erano stipati i prigionieri, i seminterrati dove si lavavano, gli oggetti personali, l’infermeria, la camera a gas con il portellone, i forni crematori… Se per voi è la la prima volta, ve lo diciamo: ve li porterete dietro fino al momento di chiudere occhio quella notte.

Stanze in cui dormivano i prigionieri del campo di concentramento di Mauthausen

Ma evidentemente questo massacro perpetrato quotidianamente per anni, poco ha insegnato all’essere umano, che corre il rischio di ricadere dritto dritto in situazioni simili.
Nel nostro presente non possiamo ignorare ideologie folli, anche antecedenti a quella nazista, che si estendono ad ogni aspetto del vivere. Che non tollerano opposizioni e uccidono, che trucidano di fronte agli altri a scopo “dimostrativo”, che schiavizzano , che spandono terrore. Portate avanti da chi ne è talmente accecato dall’arrivare perfino ad immolare la propria vita; da chi alleva e programma bambini (come future SS) facendo loro uccidere personalmente i prigionieri; da chi nasce, cresce, e si nutre di sterminio.

Avremmo potuto raccontarvi di che cosa era la scalinata della morte a Mauthausen, di come venivano suddivisi i prigionieri, di tanti piccoli dettagli biecamente studiati ai loro danni, per risultare efficacemente disumanizzanti; o anche raccontare di chi spendeva gli ultimi bricioli di energie rimaste, compiendo di corsa quegli ultimi passi fino alla rete elettrificata, per farla finita.
Su queste cose esistono miriadi di testimonianze in racconti, libri, film, documentari, più che eloquenti, e di fronte ai quali ognuno può esercitare individualmente il grado e la durata di esposizione che reputa idonei. Cautele a maggior ragione da applicare in visita ad un campo di concentramento, che potrebbe comprensibilmente risultare difficile da sostenere.
Per questo preferiamo invece ricordare quanto siamo fortunati noi, ad un certo punto aver potuto avvicinare il recinto e vedere aprirsi un pertugio, per farci uscire, tornare al terzo millennio e alla macchina.

È la stessa aria che si respirava dentro, ma diversa
Forse l’aria, ha un sapore diverso, quando sei libero.

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22 risposte

  1. Trovo il tuo articolo davvero molto bello, toccante…I genocidi sono tutti orribili in egual misura che siano stati a carico degli ebrei e di tutti coloro che secondo il regime nazista o fascista meritavano tale pena, sia che si parli di quello dei laogai o dei gulag russi. Questo posto, non so se sarei in grado di avere la forza di visitarlo. Non bisogna dimenticare la storia ne negarla eppure immaginare le torture e i luoghi in cui sono avvenute è sempre più lieve rispetto al vedere quei posti di persona. Quando penso alla shoa e ai campi di concentramento non posso fare a meno di ricordare le storie di mia nonna. Mia nonna è nata a cismon del grappa, quasi al termine della guerra, ma sua mamma l’aveva vissuta appieno e per colpa dei nazisti aveva perso un fratello, oltre a rischiare di perdere lei stessa con mia nonna la vita, proprio per cercare di salvare il fratello. Non voglio dilungarmi raccontando la storia, ma il tuo articolo mi ha fatto venire in mente tutti i racconti della guerra dei miei bisnonni, che hanno vissuto in prima persona quel periodo atroce, hanno perso parenti e amici nei campi di concentramento. Comunque scusa se mi sono dilungata. Il tuo articolo davvero scritto bene mi ha fatto affiorare un po’ di malinconia, ma positiva 🙂

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Grazie mille Silvia! I racconti di nonni e zii di quell’epoca che fu hanno qualcosa di molto speciale.
      Noi viviamo in un periodo relativamente tranquillo se paragonato a quello , ma loro sono sopravvissuti ad una guerra, fatta di morti, macerie, persecuzioni e futuro incerto. È un modo diretto di conoscere il passato, splendido , anche nella durezza di certi episodi , forse perché sono persone a cui vogliamo bene a farlo.
      Anche noi, conserviamo un bel ricordo di quei racconti sebbene narrino di vicende molto dure, ed in questo senso proviamo malinconia ma positiva 🙂

  2. Non solo ci stupiamo di quanto sia possibile una tale cattiveria ma pure quel negare l’evidenza mi lascia pensare quanto l’uomo sappia essere assurdo.

  3. Marika ha detto:

    Hai detto che la libertà ha un’aria diversa… parole giuste per un racconto così forte ma giusto da condividere perché ogni volta che lo si fa ci si ricorda che la cattiveria umana fa parte di ogni razza, colore, nazione… fortunatamente non siamo tutti dei mostri ma purtroppo siamo sempre e comunque condizionati da qualcuno. Cose così non devono più accadere, la libertà è una cosa sacra.

  4. Che tristezza questa situazione, a volte ripensiamo agli orrori del passato, ma ci dimentichiamo di quanto di orribile accade tuttora… avete fatto bene a ricordarlo!

  5. Io sono stata di recente ad Auschwitz ed è stata una prova difficile entrare in quei luoghi dell’orrore. Purtroppo in tutto il mondo sono state uccise troppe persone

    • Lemurinviaggio ha detto:

      I genocidi sembrano accompagnare la storia dell’uomo , e luoghi come quelli sono testimonianza dell’eredità che ci lasciano. Veramente difficili da visitare per il turbamento che inevitabilmente portano, come rovescio della medaglia della loro valenza istruttiva.

  6. Falupe ha detto:

    Ma la cosa che più mi stupisce è che non impariamo niente dalla storia. Sarebbe così semplice, basta leggere e conosci anche il finale.

  7. vagabondele ha detto:

    L’ho dovuto leggere due volte perché non riuscivo a concepire e la mia mente ancora ora, si rifiuta di accettare che ci siano stati “altri” esempi e che ci siano tutt’oggi orrori simili… 50 milioni nei gulag russi?? Quattro e più volte la follia nera?? No sono sconvolta! Sì, lo so che può sembrare assurdo, ma quando un tema fa male non tutti sono in grado di affrontarlo, anche solo leggendo..

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Su carta rischiano di sembrare “solo” numeri , ma visitando certi posti poi ci si rende conto dell’enormità della portata di certe devastazioni.
      Per quanto riguarda i gulag russi , erano talmente sperduti e in aree impervie (esempio Siberia) che i controlli fatti su eventuali fughe dei prigionieri erano minimi: non provavano nemmeno a scappare perchè dopo pochi giorni lontani dal campo non sarebbero sopravvissuti.

  8. Giorgia Garino ha detto:

    E’ un argomento che mi sta molto a cuore quello dei genocidi…ho letto diversi libri e il tuo articolo è molto toccante…grazie…

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Grazie mille Giorgia! Su questi argomenti è spesso difficile parlare, considerando quanto poco, nel nostro piccolo, si possa aggiungere a testi e opere dedicate che già hanno sviscerato ogni aspetto, anche il più disumano. Ci fa piacere che il racconto sia riuscito a emozionare, nel trasmettere i nostri pensieri 🙂

  9. Sono passati anni da quando sono stata a Mauthausen, io e mio fratello eravamo ragazzini e in effetti non so cosa gli fosse passato per la testa ai miei di portarci lì. È un posto che fa male agli adulti, figuriamoci a due poco più che bambini. Ma forse anche a due ragazzini serve a fare in modo che si rendano conto di cosa siano capaci gli esseri umani.
    Complimenti per come siete riusciti a raccontare un’esperienza simile, non deve essere per niente facile.

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Grazie mille Silvia! Non è stato facile ma ci fa molto piacere constatare che sia stato apprezzato! 🙂
      Certo che, non dev’essere per niente facile nemmeno un’esperienza così forte, vissuta da bambini. Di sicuro istruttiva, ma piuttosto dura da affrontare.

  10. ESTERofili ha detto:

    Grazie.
    Questo è uno di quei racconti che mi soffermo a leggere, che mi rende partecipe di una gamma di emozioni altrimenti impossibili da condividere, a meno che uno non sia un fotoreporter con i controattributi…
    Il genocidio nazista ed il periodo storico in cui si contestualizza sono stati oggetto dei miei studi per molto tempo e, forse proprio per questa ragione, non sono ancora riuscita a visitare un campo di sterminio. E non so nemmeno se mai lo farò.
    Mi fa male.
    Faccio fatica ad immaginare come potrei provare a raccontare un’esperienza di questo tipo ma, sicuramente, ho apprezzato questo racconto.
    Ester

    • Lemurinviaggio ha detto:

      Grazie Ester! Se conosci bene quel contesto e quelle vicende è molto probabile che la visita ad un posto del genere stimoli l’immaginazione a rappresentartele intorno in tutta la loro crudezza.
      Paradossalmente forse , una scarsa conoscenza di quello che sono stati l’olocausto e la seconda guerra mondiale potrebbe anche rendere “immuni” da contraccolpi emozionali, ma chi può dirlo ? Pensiamo che la visita ad un campo di concentramento vada fatta solo se/quando ce la si sente .

  11. Chiara ha detto:

    Non conoscevo questo campo di concentramento nello specifico, ma immagino il senso di oppressione che possa aver creato in voi visitarlo…

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