Le 12 fatiche di Pudong
Abbiamo toccato con mano quanto in Cina possa risultare snervante il finire nelle sabbie mobili del “sistema”, situazione esacerbata dalla contraddittorietà delle indicazioni che si ricevono.
In aeroporti cinesi avevamo già fatto alcuni altri transiti in passato, ed occasionalmente anche scali, ci abbiamo dormito la notte, mangiato, bighellonato… ma questa ancora ci mancava.
L’arrivo a Shanghai Pudong PVG
Atterrati all’aeroporto di Pudong (Shanghai) in transito durante una tratta di rientro da Taiwan, adocchiamo un ragazzo con un cartello delle coincidenze; i passeggeri di quei voli, seguendolo, possono sostanzialmente evitarsi qualche girone infernale.
Il nostro volo, previsto circa 9 ore dopo, non compare tra quelli che espone in lista, per cui optiamo per non aggregarci a lui; in fondo, di tempo ne abbiamo, ci sono cartelli in inglese per orientarsi, ed in caso di dubbi si può sempre chiedere a qualcuno del personale.
Non lo rincorriamo; ci prendiamo la libertà di procedere con calma…

Piccola odissea
Passiamo davanti ad un bancone, che riconosciamo poiché era quello del transito di andata, ma è vuoto, ed i cartelli ci inducono a proseguire.
Ci fermiamo qualche centinaio di metri dopo, presso un desk della compagnia aerea con cui stiamo volando per chiedere conferma; una tizia, in maniera piuttosto scocciata, ci indica di svoltare al controllo quarantena e da lì proseguire.
Superati però i controlli della temperatura, veniamo colti da forti perplessità.
La gente sta facendo la fila per uscire, mostrando oltre al passaporto anche il foglietto di sbarco, cosa che non dovrebbe riguardarci dato che dobbiamo prendere un altro volo.
Siccome uscire per poi rientrare più tardi, non è ciò che vogliamo fare, invertiamo la rotta, chiediamo alle ragazze della quarantena il permesso di passare di lì a ritroso, ritornando sui nostri passi.
Ricontrolliamo la segnaletica seguita in precedenza, casomai fossimo stati preda di qualche allucinazione da stanchezza ed interpelliamo un addetto che, senza masticare inglese, ci indica la stessa direzione fornita in precedenza dalla tizia scocciata.

Avanti! Indietro! Avanti avanti avanti. Destra! Sinistra! Avanti avanti avanti…
A quel punto, armandoci di pazienza, ci apprestiamo come suggerito a fare quella lunga fila sebbene ci sembri insensata.
Passano molti minuti, per non perdere ulteriore tempo, poco prima che si avvicini il nostro turno, domandiamo all’uomo della sicurezza che incanala i passeggeri alle postazioni di controllo dei passaporti; questo insiste perentorio sul fatto che dobbiamo andare ad un’altra fila (parallela) in fondo.
C’è infatti, in lontananza, un varco passaporti per “transit 24/72/144 ore” che suona confusionalmente simile ai transiti, ma che è in realtà una sorta di visto di tot ore; ci capitò di usufruire di uno equivalente per visitare Pechino prima di un viaggio in Australia.
Nella circostanza attuale lo avevamo già notato ed immediatamente scartato, proprio perchè interessati al cambio di aereo e non alla visita della città.
Dunque, dopo tanta fila per nulla, si va, ancor meno convinti di prima, a rifarne un’altra, ancor più lunga ed ancor più inutile.
Nell’assembramento antistante, c’è una ragazza dello staff aeroportuale impegnata con una comitiva, sembrerebbe parlare inglese, attendiamo il momento adatto per poter chiedere lumi a lei; inaspettatamente ci indica però che dobbiamo tornare indietro, rimettendo nuovamente tutto in discussione.
Non sappiamo veramente dove rimbalzare…
Chiediamo in seguito informazioni anche ad altro staff aeroportuale ma, o parlano solo cinese, oppure sbrigativamente ci indicano (senza troppa convinzione) una direzione… (a caso?)
A questo punto ci arrendiamo: ok, usciremo e rientreremo.
Siamo consapevoli che non si tratti della via ufficiale per prendere una semplice coincidenza, tuttavia per scrollarci di dosso quelle avvisaglie di esasperazione urge spostarsi di lì.
Impegniamo altro tempo a compilare rassegnati il foglio di sbarco con tutti i nostri dati, e ci accodiamo ad un’altra fila infinita: quella per il “transit” temporaneo di 24 ore.
La precedente era uno scherzetto al confronto, perchè questa sembra non muoversi mai.

Abbassiamo la temperatura
Giunti finalmente a cospetto dalla poliziotta di frontiera, veniamo informati che per prendere un altro volo dovremmo tornare indietro.
Sembra quasi una presa in giro: confessate! Tutte quelle telecamere le state usando per Scherzi a parte, vero?
Ad ogni modo, del variegato repertorio di indicazioni (fra loro opposte) che abbiamo collezionato, diamo più peso alla sua. Rifacciamo perciò nuovamente la quarantena a ritroso, ciao ragazze! Ci avete preso la temperatura due volte, per nulla; decidiamo di puntare questa volta allo stesso bancone che avevamo usato nella tratta di andata, e dovesse essere ancora deserto, di attendere eventualmente che si palesi qualcuno.
Con sollievo, questa volta troviamo un’impiegata, e quando tocca a noi (altra fila), non sembra nemmeno avere aria smarrita. Capisce.
Ci dice di seguire “quel signore”…
Come noi, ci sono altre 5 o 6 persone, bloccate lì, presumibilmente nella stessa situazione di stallo.
Il signore orientale indicato, parla in cinese con lei, ma è un semplice passeggero come noi. Possibile che in un aeroporto così importante, il secondo più trafficato della Cina continentale, siano queste le soluzioni? Seguite lui?
Il signore è gentilissimo, abbiamo scoperto in seguito che si trattava di una guida di Macao, e lo abbiamo rivisto arrivati a Malpensa.
Comunque, la trafila da fare è di recarsi (di nuovo) al controllo temperatura della quarantena, chiedere ESPLICITAMENTE un timbro sulla carta di imbarco, dopodichè tornare ancora al medesimo bancone ad esibirlo. (E poi magari seguire un altro passeggero che passeggia di lì ? 😀 ).
Detto, fatto: ciao ragazze, è la terza volta che passiamo di qui, (+2 all’indietro = 5); questa volta ci lascereste gentilmente un timbro, dato che avete ampiamente appurato che non abbiamo febbre ?
Con quel timbro abbiamo potuto finalmente imboccare un anonimo (quasi “mimetico”) passaggino laterale per poi seguire un percorso a zig zag, e proseguire la trafila successiva, costituita da altri controlli assortiti, piuttosto minuziosi come tipico in Cina, e ovviamente… annesse file per ognuno.
Come livello finale eravamo oramai pronti ad affrontare una Sfinge che lasciasse proseguire solo ad enigma risolto. Non ne abbiamo incontrate, ma in compenso, al terminal, abbiamo poi avuto a che fare con ulteriori seccanti idiosincrasie di altro tipo; approccio che purtroppo non rimane quindi circoscritto solo a certi ambiti.

Intrappolati nel sistema
Questa macchinosa farraginosità, condita da una caotica contraddittorietà di informazioni, e cadenzata da lunghe inutili file, ci ha portato alla mente una delle fatiche nel film di animazione “Le dodici fatiche di Asterix”.
Ci hanno rimpallato in quell’aeroporto a Shaghai, in una sorta di Gioco dell’oca in cui, con frustrazione, si tornava di continuo alla partenza. Col senno di poi comunque ci è andata bene, erano i primissimi giorni del 2020, il mondo ancora non lo sapeva, ma ben altro, di infinitamente più microscopico, non vedeva l’ora di entrare in gioco …

Se l’articolo ti è piaciuto salvalo nelle tue bacheche di Pinterest!